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I Brics alzano la voce: quanto contano davvero i Paesi emergenti?

La notizia è scivolata insieme alle altre sui media italiani, lasciando poche tracce dopo poche ore: i leader dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) hanno alzato la voce, chiedendo ai leader occidentali di avere maggiore voce in capitolo nelle grandi scelte planetarie. In particolare, durante un vertice a New Dehli, i rappresentanti delle economie emergenti hanno criticato le politiche monetarie espansive adottate dal Fondo Monetario Internazionale per contrastare la crisi finanziaria, "che hanno avviato una guerra monetaria e hanno introdotto nuove e perverse forme di protezionismo nel mondo", per dirla con le parole di Dima Rousseff, presidente del Brasile. Ma quanto contano davvero i cinque Paesi a maggior tasso di crescita (circoscrivendo l'analisi a quelli di medie o grandi dimensioni) e fin dove possono arrivare? Cerchiamo di capirlo..

Un quarto della ricchezza mondiale

Partiamo dai numeri. I cinque Paesi che compongono i Brics nel 2010 hanno generato il 15% del commercio mondiale, una cifra cinque volte superiore a quanto registrato nel 2010. Intanto, il loro contributo alla ricchezza prodotta nel Pianeta è passato dal 16 al 25%, un dato destinato a crescere ulteriormente se si considera il divario esistente tra i Paesi occidentali — l'Europa è tornata in recessione, gli Usa crescono poco sopra il 2% - e la corsa che caratterizza i Brics.

Scarso potere politico

Nonostante, questo peso in termini economici, e la disponibilità a parlare con un'unica voce, i cinque Paesi emergenti non hanno finora conquistato posizioni a livello politico. Le principali istituzioni internazionali — a cominciare dallo stesso Fmi — sono state costituite nel Secondo Dopoguerra, quando cioè il mondo era dominato da ben altri equilibri. E oggi chi detiene il potere non è disposto a farsi da parte. Così, ad esempio, da settimane si assiste allo sconto per la nomina del nuovo presidente della Banca Mondiale. Gli Usa, che secondo un patto non scritto decidono sulla nomina, in cambio del lasciapassare all'Europa per la guida del Fmi, puntano su Jim Yong-kim, coreano di nascita, ma con una lunga esperienza proprio in America. Mentre i Brics premono per la nigeriana Ngozi Okonjo-Iweala.

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Come cambiano gli equilibri

Gli scontri in merito alle nomine sono all'ordine del giorno, in qualsiasi contesto e a tutti i livelli: questa volta, però, ci sono gli occhi di tutto il mondo. Dalla decisione che verrà presa, si capirà molto sulla disponibilità dei due gruppi (grandi economie occidentali e Brics) a venirsi incontro. Con la consapevolezza che la rottura non fa bene a nessuno: né agli emergenti, che hanno bisogno di tecnologie, know-how e mercati di sbocco che solo tra le due sponde dell'Atlantico possono trovare, né ai "Paesi maturi", che puntano sugli investimenti diretti da parte delle economie in via di sviluppo per tornare a crescere.