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Cosa succede se l’Italia non ripaga il debito?

Oltre 2mila miliardi di euro, un quarto in più della ricchezza prodotta ogni anno nel Paese. E' il fardello di debito pubblico con il quale deve fare i conti l'Italia, che pesa come una spada di Damocle sul futuro del nostro Paese. A maggior ragione ora che l'Europa impone il suo dimezzamento nell'arco di 20 anni. Così, anche tra gli economisti comincia a farsi strada un quesito: e se non ripagassimo il debito, ripartendo da zero? E' un rischio che l'Italia può permettersi?

L'esempio dell'Ecuador

A questo proposito va segnalato l'interesse mostrato nei giorni scorsi verso Rafael Correa, economista e presidente dell'Ecuador, in visita nel nostro Paese. Quattro anni fa il più piccolo tra gli Stati del Sud America ha dichiarato illegittimo il debito pubblico, dopo che una commissione aveva calcolato come l'80% dei pagamenti dovuti fosse necessario a rifinanziare il debito stesso. Così, in un discorso alla nazione Correa ha puntato l'indice contro un sistema ideato solo per soddisfare gli interessi di banche e multinazionali, affermando che non avrebbe rispettato gli obblighi contratti in precedenza.

Lo stesso Correa nelle scorse settimane è stato ospite all'Università Iulm di Milano e in quell'occasione ha spiegato la sua scelta: "Rifiutando di pagare quanto richiesto dai nostri debitori abbiamo risparmiato e investito l'equivalente di due anni di nuove infrastrutture nel Paese". Secondo il presidente ecuadoriano, questo metodo è applicabile in qualunque Paese, anche in quelli europei: "Bisogna avere coraggio per prendere decisioni politiche anche se questo può influire sul rating, sul rischio-Paese. Un'economia sociale e solidale con il mercato porta benessere dei cittadini".

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Sotto accusa il Washington consensus

La posizione dell'Ecuador non è isolata: da una decina di anni almeno i governi sudamericani criticano il Washington Consensus, vale a dire l'approccio del Fondo Monetario Internazionale che condiziona gli aiuti ai Paesi in difficoltà a manovre devastanti sul piano sociale. Cosa che si è vista di recente anche in Europa, in particolare in Grecia e Portogallo.

E l'Italia?

Diversi osservatori e politici hanno proposto di fare una scelta analoga anche nel nostro Paese, vedendo in questa scelta l'unica strada per sfuggire ai piani di austerity nei prossimi anni, che inevitabilmente portano conseguenze recessive.

A sentire gli economisti indipendenti, tuttavia, una scelta del genere è inimmaginabile in Italia, che vive in un contesto ormai internazionale come l'Unione Europea. Al di là degli impegni presi con gli altri Paesi membri, pesa poi il confronto con l'Argentina. Lo Stato che dieci anni fa aveva dichiarato default rifiutandosi di ripagare i debiti contratti, e che era stato preso come esempio dello stesso Ecuador, nelle ultime settimane è ripiombato in una crisi profonda.

La miccia è stata una ingiunzione di pagamento dei vecchi bond non ripagati arrivata da un magistrato statunitense, ma la misura si è innescata in una situazione di inflazione galoppante (25% secondo gli analisti indipendenti) .

In sostanza è successo che, dopo il default, nessun organismo straniero si è più fidato di prestare denaro all'Argentina, che in questo modo ha potuto fare affidamento solo sulla sua Banca centrale, privata progressivamente di autonomia, fino a renderla il braccio finanziario del Governo. Ma l'immissione continua di liquidità senza che in parallelo crescessero beni e servizio ha portato a un'impennata dell'inflazione che penalizza il potere d'acquisto dei consumatori. Un rischio che l'Italia, Paese di importazione di quasi tutte le materie prime, non può in alcun modo permettersi.