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Lavori creativi contro la crisi

Il lavoro è bene inventarselo. Vuoi per la crisi o per un'innata tendenza alla creatività, sono in tanti quelli che sperimentano nuovi modi per fare soldi, darsi da fare, creare qualcosa. Si va da chi, in modo bizzarro, diventa assaggiatore di cioccolato a chi progetta nuove valigette per contenere il cibo della pausa pranzo in ufficio. C'è chi organizza luoghi di incontro per chi vende, cerca e compra case. Con sotto musiche tranquille e la possibilità di prendersi un caffè. Insomma, i lavori strani sono molti. Non solo raccoglitori di ghiaccio o inseminatori di animali. Sono idee di business, invenzioni che occupano nicchie lasciate vuote o riescono a forzare un sistema già saturo, come il mondo del giornalismo. Insomma, inventori alla conquista del mondo del lavoro. Dalla Cina all'editoria portoghese. E passando per i giochi dei bambini e le magliette. Idee strane e di successo. Alcune, molto intelligenti.

È il caso di Sameh El-Sahat, di origine egiziana ma che vive a Londra. Lui di lavori ne ha visti tanti. «Nel 1999 ho lasciato il mondo delle banche per seguire la mia passione per il design». E così nasce Tavola Rasa, un brand di mobili di lusso che unisce design e funzionalità. «Andava bene. Avevo clienti in tutto il mondo, ma con la crisi, hanno cominciato a spendere meno», insomma, le vendite calavano. «Ero uno dei primi a vivere i primi venti della recessione. Capii che dovevo fare qualcosa». E che cosa? «Un giorno, seduto all'aeroporto con la mia fidanzata italiana (che poi sarebbe diventata mia moglie) chiesi cosa ne pensasse. Lei mi disse che dovevo cercare di inventare nuovi modi per vendere le mie idee». Ecco, le idee. «Non solo mobili, che erano rivolti solo al mondo dei mobili. Dovevo vendere le idee senza forme, nella loro forma più pura». Cioè «idee, strategie e pensieri in un mercato più ampio». Insomma, forte delle sue competenze linguistiche (parla sei lingue) e del suo amore per convincere le persone, sbarca in Cina. «Con mia sorella, mettiamo in piedi China-i Ltd, un'agenzia di strategia comunicativa che lavora con le compagnie cinesi e organizzazioni statali: lo scopo è presentare la Cina in modo migliore al resto del mondo». Insomma, sono i consulenti all'immagine di un intero Paese. «Una cosa che serve anche ai Paesi occidentali», che perdono molti dei loro stereotipi per abbracciare un nuovo mondo, e un nuovo mercato. Insomma, «idee nuove, fresche, per tutti».

A volte basta meno: ad esempio, divertire i bambini. Di fronte alla crisi, nel 2008 un gruppo di ragazze di Castiglione del Lago, in provincia di Perugia, ha pensato che l'unico settore ancora scoperto fosse l'intrattenimento dei bambini «per le feste, matrimoni, celebrazioni». Quelli che si annoiano e creano disordine. E allora, chi li tiene? «Ci siamo noi». Sono le tre ragazze di MagicPoppins, agenzia di intrattenimento per fanciulli fastidiosi, ma non solo. «Facciamo anche babysitting, fino ai 6 anni e intrattenimento fino ai 12», poi «gruppi estivi, incontri, giochi. E corsi di arte, con artisti. Di cucina, con cuochi, di scrittura, con insegnanti». Insomma, un'idea nuova che si espande ed entra in tutti gli ambiti. Funziona? «Sì. Certo, con la crisi qualche madre è rimasta in cassa integrazione. Ed è rimasta a casa: questo significa che non ha bisogno di noi. Ma nel complesso i conti tengono: «Abbiamo aperto, da qualche mese, una ludoteca, come punto di incontro. È un costo in più, ma per ora possiamo permettercelo». L'attività è cominciata «quasi per gioco: poi, però il circuito dei genitori ha fatto girare la notizia. E sono fioccate le chiamate». I requisiti però, sono duri: «il nostro è un lavoro di 24 ore su 24, 365 giorni all'anno. Sempre disponibili. E se qualcuno vuole lavorare deve essere motivato. «Per questo non accettiamo collaboratrici con meno di 23 anni». E continueranno? «Sì, finché si può sì. L'idea è quella di lavorare. Poi, se i soldi ce lo permetteranno, di fare le signore», scherzano.

«Noi invece abbiamo deciso di buttarci in un mondo saturo come il giornalismo», spiega Natascia Gargano, redattrice di Fuori per Servizio. «E ce l'abbiamo fatta». Non è stato facile ritagliarsi uno spazio, ma l'idea era buona. FpS non è un giornale, né un'agenzia. «Noi lavoriamo per gli altri giornali, testate, radio e televisioni». È, in gergo, un service, cioè un'azienda che fornisce contenuti ad altri. «Ma non solo notizie: noi diamo consulenza, creiamo filmati, facciamo tutoring anche per le aziende» che sono quelle che pagano di più. Il tutto comincia nel 2009, finita la scuola di giornalismo Ifg di Milano. Un gruppo di giornalisti in erba con molta voglia di fare ma di fronte a sé un mercato in crisi. «Ci siamo chiesti: che fare?» e così hanno deciso di associarsi in una cooperativa. Una formula del tutto nuova: «non siamo solo giornalisti: ma anche imprenditori. Teniamo i conti, decidiamo le strategie. Una cosa che ci arricchisce molto» e li fa crescere. All'inizio avevano messo insieme tutto: soldi, idee e anche contatti. Soprattutto, competenze: «Chi sapeva fare qualcosa, lo spiegava agli altri. Ora tutti sanno fare tutto». E così cominciano a girare. Di servizio in servizio, lavorano e creano nuove cose. Tanto da assumere sei persone. Ma soprattutto: «nessuno stagista gratis. Chi lavora da noi guadagna. È un nostro punto etico. E non vogliamo venire meno».

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Alexander De Zuanne invece si occupa di moda. E ha inventato Polosophy, cioè un'azienda che produce polo su misura. «Io e il mio collega, Giuseppe Stigliano — che poi ha abbandonato — entrambi provenienti dallo Iulm, avevamo deciso di buttarci nel mondo della moda». L'unico modo per differenziarsi era il mondo della «misura», cioè l'abbandono della produzione standard per prodotti personalizzati su misura. «E, cosa strana, la polo era l'unico capo in cui nessuno produceva modelli su misura. Allora lo abbiamo fatto noi». Ecco come nasce Polosophy, la prima azienda al mondo a fare polo su misura. «All'inizio facevamo degli show in Europa». Cioè? «Degli eventi: ci trovavamo in piazza e prendevamo le misure di chi era interessato, e dei curiosi». Poi, però «ci siamo ingranditi: le richieste sono cresciute e allora abbiamo trovato un nuovo sistema col web». E come? «Semplice: ci sono dei tutorial con cui spieghiamo ai clienti come prendersi le misure. Oppure, gli chiediamo di mandarci un loro capo che va bene. E noi ci basiamo su quello». Anche questo è un modo per combattere la crisi. «Siamo un'azienda di nicchia, sia chiaro. Però abbiamo un laboratorio artigianale, con quattro donne e un sarto».

Può esistere una casa editrice fatta da una sola persona? Sì, c'è e si chiama Urogallo. Con sede a Perugia, è stata inventata, gestita e tuttora viene condotta da Marco Bucaioni. Di che si occupa? «Di letteratura portoghese: esistono capolavori, libri bellissimi che in Italia sono del tutto ignorati», spiega. «Un gap culturale che ho voluto riempire», dice. «e poi l'argomento mi piace tantissimo, tanto da essermici laureato». L'idea è arrivata nel 2007. Ma tra burocrazie e ritardi «ho potuto cominciare a lavorare sul serio solo nel 2009, in piena crisi». I titoli sono stati finora «cinque o sei all'anno, ma dal 2012 saranno almeno dieci. Faccio un passo alla volta». E come si fa? «Scopro gli autori, contatto le case editrici portoghesi. Poi compro i diritti e pubblico». Il problema è la distribuzione, che «si prende il 50% del prezzo del libro. Però se distribuisce bene, è giusto. È quando lo fa male che è un problema». E così, di libro in libro, l'attività continua. «Speriamo di migliorare: con i soldi della casa editrice non ci campo. Per ora sono andato avanti grazie a una borsa di studio dell'università». Ma in futuro chissà. «Io ci spero. Sono libri che valgono tanto. Certi titoli, li avesse pubblicati Feltrinelli, sarebbero già in cima alle classifiche». Appunto, chissà.