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I problemi del digitale terrestre in Italia

Per molti italiani che guardano i canali del servizio pubblico sul televisore, il destino ineluttabile è versare i 121 euro del canone. Altrettanto ineluttabile, in molte zone d'Italia come il Trentino e la Toscana, è però avere costanti problemi di ricezione, soprattutto nel passaggio al digitale terrestre. Un'altra questione non secondaria, che riguarda invece le piccole emittenti locali, è la numerazione sul telecomando. I "piccoli", infatti, sono stati invitati dal ministero dello Sviluppo Economico ad abbandonare alcuni canali per lasciare libera la banda a favore dei telefonini di nuova generazione, a fronte di un indennizzo. Entro il prossimo 30 novembre sarà completato il passaggi al digitale, ma sono tanti i problemi ancora irrisolti.

La scorsa estate, l'Antitrust ha avviato un'istruttoria per pratiche commerciali scorrette facendo seguito a una segnalazione di Federconsumatori e ad alcune denunce da parte di privati. Secondo il garante della concorrenza la Rai avrebbe indotto i consumatori «ad acquistare apparecchiature come antenne o decoder nuovi nella speranza di ottenere una migliore qualità del segnale», quando in realtà il problema dipendeva da Rai Way e non dal decoder. Solo che invece la sanzione alla Rai è arrivata per una diversa vicenda: il servizio pubblico è stato costretto a pagare una multa di 5mila euro per «l'omessa indicazione dei costi del servizio "Risponde Rai", la linea dedicata alle informazioni su tutte le attività Rai pubblicizzata come "numero verde" ma risultata essere servizio a pagamento».

Mentre il ministero dello Sviluppo Economico, lo scorso 20 gennaio, si è dato 90 giorni di tempo per rivedere il beauty contest, cioè l'assegnazione gratuita della banda lasciata libera dal passaggio al digitale terrestre che in origine sarebbe dovuta andare a Rai e Mediaset, le piccole emittenti lottano per mantenere una posizione di rilievo sul telecomando. Le frequenze comprese tra il canale 61 e il 69, che corrispondono alla banda 790-862 Mhz, sono state assegnate agli operatori di telefonia mobile in seguito all'asta 4G. Il tutto a fronte di un indennizzo che era stato fissato in 240 milioni di euro dalla legge 220/10, poi ridotto da via Veneto a 174 milioni.

Il cosiddetto switch off, cioè il progressivo spegnimento del segnale analogico, è un procedimento più lungo e complesso del previsto, caratterizzato da un quadro legislativo perennemente in fieri. La prima regione ad adottare il digitale è stata la Sardegna, cui è seguita la Valle d'Aosta, il Trentino, il Lazio, la Campania, parte del Piemonte e in seguito tutte le Regioni. Fino al 2010, il criterio con cui il ministero assegnava le frequenze non era legato a un bando, ma prevedeva un passaggio automatico in base al quale tutti gli ex concessionari analogici diventavano "operatori di rete".

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Nel bando di gara per l'assegnazione delle frequenze in Liguria, Umbria, Toscana, Marche e Provincia di Viterbo ai richiedenti è stato assegnato un punteggio in base a quattro criteri: copertura, capitale sociale, numero di dipendenti e storicità della presenza sul territorio. Requisiti che, in base alla delibera 353/11 Agcom, saranno eliminati solo quando lo switch off sarà completato su tutto il territorio nazionale. Sempre nella delibera il regolatore sancisce l'obbligo per gli operatori di rete di affittare le frequenze agli editori puri a condizioni fissate dal ministero.
La posizione del canale sul telecomando è anch'essa fissata dal regolatore delle comunicazioni (delibera Agcom 366/10). Il quale, con il provvedimento 629/10, specifica la necessità «che l'utente, in fase di attivazione del decoder o quando decida di predisporre una lista manuale dei canali sia compiutamente informato che con il refreshing automatico abilitato la numerazione personalizzata potrebbe essere successivamente modificata in maniera automatica».

Non specifica però a chi spetti il compito di alfabetizzare anziani e fasce deboli alle funzionalità del decoder DTT. Alcuni Comuni, come a Roma la Fondazione Mondo Digitale, sponsorizzata da grandi nomi tra cui Ibm, Ferrero e Acea, fanno dei veri e propri corsi dedicati agli over 65 per imparare a utilizzare il decoder e a navigare sul web. Dall'Abruzzo all'Emilia Romagna, dal Lazio alla Lombardia si sono moltiplicate le iniziative di formazione "intergenerazionale", che hanno puntato sui giovani dei licei scientifici e degli istituti tecnici commerciali per svelare ai nonni i segreti del mondo digitale. Il tema dell'eliminazione del digital divide tra generazioni è finito più volte all'ordine del giorno nelle giunte comunali di tutta Italia, ma non è stata trovata una soluzione a livello nazionale.

Il digitale terrestre talvolta si infrange contro le montagne, essendo veicolato da ripetitori terrestri non perfettamente aggiornati alla ricezione in digitale. A fine agosto la Provincia di Vicenza ha approvato una delibera con cui ripartisce un contributo regionale di 125mila euro, allo scopo di costruire nuovi ripetitori, a favore di Comuni e Comunità Montane che in seguito al passaggio alla tv digitale terrestre hanno riscontrato difficoltà nella ricezione del segnale. La caccia dei Comuni montani ai fondi per aggiornare i propri ripetitori è partita, ma Provincie e Regioni, strette dai paletti del Patto di Stabilità, nella maggioranza dei casi non possono erogare contributi. Succede in Liguria come in Toscana, in Molise come nelle Marche: in Provincia di Macerata, ad esempio, c'è un unico Multiplex (il sistema di ricezione del segnale DVB-T) che veicola soltanto i tre canali Rai classici, e non quelli (Rai Storia, Rai Movie) visibili in chiaro sul servizio pubblico digitale terrestre.

Infine resta il nodo dei decoder. Qualche mese fa la Corte di Giustizia europea ha giudicato "aiuti di Stato" i contributi per l'acquisto del decoder digitale terrestre concessi con la finanziaria del 2004, respingendo il ricorso di Mediaset, costringendola a restituire i fondi ricevuti, pari a 220 milioni di euro. I modelli di decoder in vendita sono tantissimi, ma non tutti hanno le caratteristiche necessarie a una ricezione ottimale. Per questo l'associazione Dgtvi, che riunisce Rai, Mediaset, Telecom Italia Media, DFree e FRT, ha promosso un bollino di qualità per i decoder, che dovrebbe tutelare i consumatori dalle truffe. Diverse dal decoder sono le piattaforme televisive commerciali, come Sky, Mediaset Premium (offerta basata sul digitale terrestre) o l'Iptv di Telecom Italia (che fornisce un decoder abilitato al DTT), e le piattaforme distributive, come Tivù Sat, joint venture la diffusione del digitale satellitare tra Rai, Mediaset e TI Media. In quest'ultimo caso il decoder non è necessario, mentre nel primo dipende dall'operatore: per poter accedere all'offerta del digitale terrestre un abbonato Sky necessita della Digital Key, una specie di penna Usb che sintonizza automaticamente il segnale al decoder satellitare del colosso della pay tv. Insomma, una giungla non adatta al cittadino distratto: per guardare la televisione digitale non basta più sedersi in poltrona e schiacciare un tasto del telecomando.