La situazione dell'Eurozona

Debito pubblico

L'Italia si conferma il Paese leader nel rapporto distorto debito pubblico/pil come dimostra questo grafico relativo all'Eurozona. Un debito a 13 zeri che ha superato i 2mila miliardi di euro e che equivale a circa 30.724 euro per ogni italiano, inclusi neonati e ultracentenari, ovvero 80.327 euro per ogni occupato. Come riporta l'Istituto Bruno Leoni, “tra gennaio e luglio 2010 il debito pubblico è aumentato di 50.100.143.820 euro , più di 7 miliardi al mese , 236 milioni al giorno, quasi 10 milioni di euro all’ora , 164.112 euro al minuto”. Circa la metà degli Stati membri ha un rapporto debito/Pil al di sopra del 60%.
Neanche la Germania dorme sogni tranquilli se, come rivela il rapporto, al netto di un’inversione di tendenza, “il debito pubblico tedesco non scenderà sotto quota 60%, il limite massimo stabilito dal Fiscal compact, prima del 2030. Il debito tedesco è pari all’80,5% del Pil , quello italiano al 128%.
Tra i paesi che devono ricorrere al più presto rivedere questo rapporto, Belgio, Italia, Spagna, Francia, Cipro.(Graph 6.3, pp 79)

Debito pubblico/ Pil

Il rapporto debito/Pil dell'area Ue dovrebbe, nel 2017, assestarsi approssimativamente tra l'86% e il 96% , con una probabilità dell'80%. Con un probabilità del 60%, il rapporto debito/pil sarà più alto del 90% entro il 2017 . In presenza di choc temporanei ai tassi di interesse e alla crescita , il rapporto debito/Pil è previsto quindi in crescita fino al 2014, con una probabilità del 40%. (Graph 3.7, pp.51)

Cambiamenti della popolazione

L’evoluzione demografica non sarà certo uguale in tutti i Paesi, ma la popolazione Ue, secondo il report, è destinata ad aumentare di 14.7 milioni di persone , grazie a una generale ripresa della fertilità e dei flussi economici, in un arco di tempo cinquantennale. Nel 2060 la popolazione totale dell'Europa raggiungerà 517 milioni di abitanti, numero di poco superiore ai 502 milioni del 2010 .L’invecchiamento però non arretra: un terzo degli europei avrà 65 anni o più di età. (Graph 2.3, pp.28)

Età lavorativa

La popolazione in età lavorativa dovrebbe aumentare fino al 2022 , per poi iniziare a declinare. In aumento la popolazione attiva (20-64 anni) dal 75,6% del 2010 al 78,8% nel 2060 nell'UE a 27, la maggior parte della quale entrerà in attività nel 2020. Si ridurrà progressivamente il divario di genere nei tassi di partecipazione. In crescita, in generale, i tassi di occupazione, con un aumento dal 68,6% del 2010 al 74% nel 2060. I tassi di occupazione dei lavoratori più anziani sono destinati a crescere sostanzialmente come risultato di riforme volte a prolungare l’età lavorativa, per decurtare l’impatto della popolazione sulla spesa pubblica. (Graph 2.6, pp 30)

Uscita lavoro

L’età media di uscita dal mercato del lavoro varia sensibilmente tra i paesi europei e non è difficile capire perché: non tutti devono affrontare il nodo della posticipazione dell’uscita a causa di problemi di sostenibilità fiscale. C’è ancora chi va in pensione prima, come dimostrano Slovacchia e Lussemburgo che hanno l’età più bassa di pensionamento nel 2011. Le più alte età di uscita sono osservabili a Cipro, in Irlanda e in Svezia. L’aumento dell’aspettativa di vita porterà a un globale innalzamento dell’età pensionistica in proporzione in tutti in singoli Paesi? Secondo il report è più probabile che aumenti l’età per uscire dal mercato in quei paesi che ancora godono di uscite a un’età più bassa piuttosto che continui ad aumentare il numero di anni per andare in pensione nei Paesi con età alta in uscita. Il lento aumento dell’età di uscita è una conseguenza ovvia dell’assenza di politiche alternative alla posticipazione del pensionamento , come il cambiamento dell’età pensionabile o incentivi a restare nel mercato del lavoro. L’età media di uscita nel prossimo ventennio si assesterà in media a 64,3 per gli uomini, a 63.9 per le donne. (Graph 4.3, pp 57)

Pensioni

In uno scenario segnato dai pensionamenti posticipati , la spesa pubblica per le pensioni salirà ancora dell’0,8% tra il 2010 e il 2060. La spesa complessiva in questo scenario però scenderà dello 0,6% invece che salire dell’1,4%, in virtù del minor numero di pensioni erogate, rispetto a uno scenario che non prevede cambi sull'età pensionistica. In entrambi gli scenari, gli effetti saranno visibili solo dopo il 2020 quando i già previsti aumenti di età pensionabile saranno pienamente operativi nei sistemi pensionistici degli Stati membri e maggiori aggiustamenti saranno fatti in relazione all'aumento della aspettativa di vita, assenti nella normativa attuale. (Graph 4.4, pp 58)

Sostenibilità fiscale (Italia)

Il report sostiene che il nostro Paese non sembra affrontare un rischio di stress fiscale nel breve termine, prospettiva che sembra fortemente al ribasso anche sul lungo termine, se subordinata però alla piena attuazione di ambiziosi progetti fiscali di consolidamento economico. Il debito pubblico è comunque al di sopra del 60% del Pil. L’avanzo primario strutturale –al netto degli interessi del debito- è previsto che raggiunga un considerevole surplus del 5% del Pil nel 2014. Questo è molto più alto del 1,2% dell’avanzo primario registrato nel 2011, al di sopra dell’1,6% registrato sul periodo 2008-2012. (Graph 7.9, pp 102)

Pensioni

L'invecchiamento della popolazione è la principale fonte di aumento della spesa pensionistica nel corso del tempo: tuttavia, la spesa per coloro che hanno meno di 65 anni è destinata drasticamente a calare, a causa dell’aumento dell’età pensionabile, e della restrizione per la quiescenza precoce. Anche la fascia 65-69 mostra un ribasso dell’andamento della spesa pensionistica, destinata però a crescere nei prossimi due decenni quando la generazione del baby boom post bellico raggiungerà l’età del pensionamento. Nel complesso, paragonando i valori del 2009 a quelli del 2012, la spesa pensionistica sta aumentando più lentamente, 1,4% del Pil tra il 2010 e il 2060, rispetto al 2,3% del Pil secondo l’Ageing Report. (Graph 5.1, pp 62)

Competitività

Come previsto nel 2009, più della metà dei Paesi Ue deve confrontarsi con rischi a breve termine in ambito fiscale . La valutazione dei rischi a breve termine per lo stress fiscale si basa sull’indicatore SO, che identifica i rischi nel breve termine. Guardando ai sotto indici tematici, i rischi complessivi possono qualificarsi come arginabili sia dal lato fiscale che da quello della competitività finanziaria dell’economia. Oppure, possono essere arginati anche solo dal lato fiscale . L’analisi di questi sotto indici tematici evidenzia tre paesi, Francia, Regno Unito, Slovacchia, che si stanno confrontando con problematiche a breve tempo arginabili dal lato fiscale, per quanto queste non siano cosi acute come messe in luce dalla tabella dei rischi complessivi. (Graph 3.2, pp 36)