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8 marzo, una festa a metà

Le donne affrontano tutti i giorni, sul lavoro, difficoltà e discriminazioni. Ecco perché.

Ok, le mimose piacciono a tutti. Ma sicuri (anzi, sicure) che ci sia davvero da festeggiare?

La situazione delle donne sul lavoro, infatti, risulta ancora sofferente, a causa di discriminazioni, disparità di trattamento e diverso riconoscimento salariale.

I primi dati a suscitare preoccupazione sono quelli relativi alla disoccupazione. Secondo l'Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo) in Italia il tasso di disoccupazione giovanile sfiora ormai il 30% per i ragazzi sotto i 30 anni, ma sale al 50% per le ragazze; oltre a questo occorre considerare che i licenziamenti e l'aumento della precarietà lavorativa dal 2007, ad oggi, toccano soprattutto le donne.

A queste vanno aggiunte le più di 500 mila che, dalle statistiche, risultano scoraggiate e non intenzionate neppure a cercare un’occupazione.

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Per chi poi il lavoro ce l’ha, la situazione non è più semplice poiché il trattamento salariale è spesso impari.

Sono infatti dati ufficiali quelli dai quali risulta che in Europa, le donne, a parità di mansione, guadagnano circa il 16, 4% in meno dei loro colleghi uomini. Una situazione di disparità che resiste negli anni, nonostante da oltre 50 anni sia stato introdotto il principio di parità di retribuzione per uno stesso lavoro e che, per molti aspetti, è rimasto lettera morta, tanto che il divario è ancora presente in molti paesi UE, come Bulgaria, Francia, Lettonia, Ungheria, Portogallo e Romania e toccando la punta massima del 27%, in Estonia.

Una situazione che, pur rimanendo ingiustificabile, si spiega così: “Il gender pay gap ha molte cause- ha recentemente spiegato in un report la Commissione Europea- e spesso le donne hanno lavori che sono valutati meno rispetto a lavori simili svolti tradizionalmente da uomini. Questa situazione- spiega la Commissione-  è rafforzata dalla segregazione nel mercato del lavoro, che porta le donne a lavorare in settori e occupazioni che sono retribuiti meno rispetto a quelli tradizionalmente considerati maschili. La segregazione è spesso in relazione con tradizioni e stereotipi che possono influenzare le scelte scolastiche e, di conseguenza, le carriere lavorative che le giovani intraprendono. Una volta occupate, le donne possono incontrare ostacoli nelle progressioni di carriera e ciò si riflette nella loro sotto-rappresentazione nelle posizioni manageriali e senior”. A questo si aggiungono i problemi legati all’equilibrio tra vita lavorativa e personale (work-life balance) che di fatto costituisce un problema delle donne dato che è più probabile che abbiano delle interruzioni nella vita lavorativa o lavorino a tempo parziale per prendersi cura dei figli piccoli o di altri familiari fragili.

Proprio in merito alla difficoltà di conciliare vita privata, eventuali figli, e lavoro, ha fatto recentemente scalpore la prassi, illegittima ma in vigore alla luce del sole (senza nemmeno provare a nascondersi) in molte aziende tra cui la pubblica RAI, di far firmare, alle donne, una lettera di dimissioni in bianco: un documento che il datore di lavoro possa usare a suo piacimento per liberarsi di un’impiegata qualora quest’ultima rimanga incinta.

A questo, per somma beffa, si aggiunge il fatto che periodi di inattività o con basse retribuzioni implicano un differenziale in termini di diritti pensionistici o pensioni più basse, che a loro volta possono portare alla povertà nella vecchiaia. Dunque, al di là delle serate in pizzeria tra amiche, sicure che sia il caso di far festa?