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Expo 2015, ritardi, speranze e milioni di euro

Expo 2015, ritardi, speranze e milioni di euro

In ritardo ancora prima di partire. A poco più di due anni dal via, Expo 2015 prova ad accelerare i tempi. L’organizzazione dell’area, alle porte di Rho, e la messa a punto del sistema infrastrutture e trasporti è ancora indietro. “Dovremo fare una grande corsa, ma la faremo insieme agli altri paesi”, è stato il commento di Giuseppe Sala, il commissario unico dell’esposizione dedicata al tema “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, a margine dell’incontro con il premier Enrico Letta che ha spiegato come la nomina di Sala sia “un gesto importante per dare un segno”. Più che altro una spinta perché “per il governo l’Esposizione universale è un punto cardinale della prossima legislatura”, precisa il neo presidente del Consiglio.

La nomina di Sala, già amministratore delegato di Expo Sps, era stata suggerita e sostenuta dal sindaco di Milano, Giuliano Pisapia e dal presidente della Regione, Roberto Maroni. La scelta, tra l’altro, sottolinea come l’esecutivo voglia sostenere concretamente l’Expo, riprendendo in questo senso l’eredità del governo Monti che lo scorso ottobre aveva parlato “di un’eccezionale occasione per la ripresa economica”. “L’Italia non deluderà”, aveva garantito. La partita degli investimenti, però, si dimostra sempre più difficile da giocare. Sul piatto ci sono 1,3 miliardi di euro, di cui oltre 900 milioni devono ancora essere versati dagli enti pubblici. Il progetto originale è stato modificato, adeguato ai tempi di crisi: Orto botanico addio, le ruspe stanno scavando per costruire una smart city. Che sembra piacere perché a oggi sono 125 le nazioni che hanno già confermato la loro partecipazione alla fiera. Secondo le stime del Comune ci sono in ballo 200mila posti di lavoro a fronte di 20 milioni di visitatori attesi.

Una corsa contro il tempo, quindi. Anche perché il progetto iniziale nasce da un peccato originale. I terreni individuati nel 2008 non erano pubblici. Ma privati. L’allora sindaco di Milano, Letizia Moratti, si aggiudicò la gara per l’Esposizione, scalzando la concorrenza di Smirne e individuò il sito dell’Expo su un’area di oltre 1,1 milioni di metri quadrati in gran parte di proprietà della Fondazione Fiera Milano e della società Belgioiso della famiglia Cabassi. Queste aree sono state vendute a Arexpo – società costituita da Regione Lombardia e Comune di Milano, che ne detengono il 34,67 per cento a testa, oltre che da Fondazione Fiera (27,66 per cento) e, in quote marginali, dalla Provincia di Milano e Comune di Rho – che ha sborsato 151 milioni di euro. I piani previsionali di Arexpo stimano di vendere l’area, una volta terminata l’esposizione, attorno a 305-330 milioni di euro. Sul ritorno dell’investimento, ovviamente, pesa la crisi del mercato immobiliare e le incognite legate al futuro di Expo. L’Esposizione universale dura sei mesi. E dopo?

Nessuna certezza. Le proposte sono state diverse: dalla cittadella della giustizia, alla nuova sede Rai, fino allo stadio dell’Inter. Gli enti locali preferirebbero un grande parco e case low cost, nel Padiglione italiano, invece, la Camera di Commercio vorrebbe creare un polo dell’innovazione. Il rischio, tra gli altri, è che diventi un mega quartiere residenziale. Proprio accanto sorgerà Cascina Merlata, un complesso abitativo da 530mila mila quadrati, in grado di ospitare fino a 8mila abitanti. Le istituzioni, per ora, non si esprimono. Prima di pensare a cosa fare dopo, occorre rimboccarsi le maniche per arrivare puntuali ai nastri di partenza, mancano solo due anni. Vietato fare brutta figura davanti al mondo intero.