Perché l'Italia perde aziende e brand del lusso
La crisi non basta a spiegare la perdita di marchi storici: conta anche un capitalismo vecchio
Le aziende, per il sistema Paese, sono come i figli per le famiglie: “pezzi di cuore”, tanto più quando sono anche simboli dell’eccellenza in settori peculiari della vita nazionale. E l’Italia ormai è rassegnata a dire addio, periodicamente, ad alcuni dei suoi pupilli, che vengono ceduti all’estero, con grandi rimpianti.
Ma perché succede, per la crisi o per un problema interno alla struttura stessa del capitalismo italiano, privo di strutture adeguate a sostenere i brand? Secondo un’analisi di Ugo Bertone su Il Sussidiario, per il secondo motivo. Il caso del prestigioso marchio tessile Loro Piana, acquisita dalla holding francese LVMH, è solo la punta di un fenomeno di incapacità che nasce anche dalla mancata previsione del boom del business del fashion sul mercato globale attuale. Costrette a confrontarsi obbligatamente con scenari internazionali, le aziende fanno per come possono, scegliendo anche, se serve, la strada della cessione.
Se per servire una platea che ha anche esigenze di alta gamma serve non solo la qualità, eterno emblema del made in Italy, ma anche “strutture finanziarie, manageriali o network commerciali sia fisiche che on line” ecco che l’approccio all’italiana non basta più in termini di strutture ampie e diffuse, “forte competenza commerciale ed e-commerce d’avanguardia”. Anche la creazione di holding ad hoc, con la benedizione di gruppi bancari importanti, a protezione dei marchi, spesso non basta per molte ragioni ma anche per il solito vizio italiano di puntare sui soliti cognomi forti del capitalismo tricolore.
Come si riallaccia però la cessione dei marchi con la crisi più generale di un Paese che ha un tasso di crescita inferiore all’1% nel corso degli ultimi vent’anni e che è destinato a onorare impegni gravosi per contenere il debito pubblico e riportarlo alla soglia obbligata del 60%?.
Il problema, per evitare che il copione della cessione e della svendita del patrimonio industriale nazionale si ripeta, è appunto quello eterno della crescita, che deve essere rilanciata senza se e senza ma, anche a costo di forzare la mano a qualche dogma che col tempo si è fatto rigidità e privilegio. Ce lo mandano a dire sulle pagine dell’Herald Tribune, nella rubrica Breakingviews di Reuters, proprio commentando la cessione di Loro Piana. C’è bisogno di un mercato diverso, più libero e competitivo, in cui anche un potenziale Bernard Arnault possa spiccare, e in cui, per acquistare un’azienda e inserirla in una filiera più grande, le dimensioni contano.
E se queste opportunità mancano, andrebbero create, favorendo le fusioni, le acquisizioni, insomma, un sistema dove si accetti che alcuni siano più grandi e forti, piuttosto che restare piccoli, divisi e antagonisti ma mai uniti nella stessa missione: rilanciare il capitalismo e svecchiarlo. Diversamente, anche le scelte fatte più in alto, in termini di aiuto e protezione, potrebbe non bastare.