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Italia corrotta, ma l'Authority non funziona

Italia corrotta, ma l'Authority non funziona

L’Italia è il Paese più corrotto dell’Unione europea. Nonostante la “legge anticorruzione” del 2012, nel Belpaese la corruzione ha un valore: 60 miliardi di euro l’anno, pari al 4 per cento del Pil. Secondo il primo report della Commissione, la corruzione a livello Ue pesa per 120 miliardi, un costo a cui l’Italia contribuisce per metà. Bruxelles è impietosa: conflitto d’interesse, leggi ad personam, lungaggine dei processi, appalti truccati e collusione tra politica e mafia. Il 97 per cento degli italiani ritengono che la corruzione sia diffusa nel proprio Paese. Mancano leggi efficaci per combatterla. E l’Authority che dovrebbe vigilare contro il fenomeno non ha neppure un presidente.

Che fine ha fatto l’Authority anticorruzione? Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera di oggi ripercorre le tappe che hanno portato alla creazione, senza alcun risultato pratico, dell’organismo per la guerra alla corruzione. Nel 2003 fu istituito l’Alto commissario per la prevenzione e il contrasto alla corruzione, reso operativo nel 2004, rimase in vita per quattro anni, facendo praticamente nulla. Nel 2008 fu rimpiazzato dal Saet, il Servizio per l’anticorruzione e la trasparenza che subì, appena nato, le critiche degli osservatori: fare parte della struttura del Dipartimento della funzione pubblica non era garanzia di indipendenza. Un anno dopo arrivava la Civit, Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche. Un nome lunghissimo per un organismo dalle competenze poco definite. Come dire, parecchio fumo e poco arrosto. Anzi, pochissimo. Tanto che nel 2012 il governo tecnico del professor Monti decise di fare una legge (la numero 190) che istituiva la tanto agognata Autorità anticorruzione. Risultati ottenuti? Non si sa. Ma intanto, negli ultimi mesi l’organismo ha ancora una volta cambiato nome in A. n. ac. (Autorità nazionale anticorruzione).

“Il livello politico non ha mostrato particolare impegno nell’attuazione della legge, nonostante i reiterati solleciti dell’Autorità”, si legge nell’ultimo rapporto dell’Authority, pubblicato un mese fa. “Non tutti i ministeri, gli enti pubblici nazionali, le Regioni, gli enti locali hanno nominato il responsabile della prevenzione della corruzione”, un ruolo cruciale per l’attuazione della normativa. In altre parole, l’ostruzionismo della politica rende ancora più complicata la lotta anti corruzione. Certo, difficile pretendere che il lavoro di vigilanza sia fatto a regola d’arte se l’Authority stessa non ha nemmeno nominato un presidente. Tanto da far montare qualche sospetto sul fatto che ci sia qualcuno determinato a “svuotare i poteri dell’organismo sui conflitti d’interesse, i piani anticorruzione, le incompatibilità fra amministratori e società miste o in house, magari con la scusa di risparmiare prebende”.

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Difficile, quindi, dare torto a Bruxelles quando accusa l’Italia di avere una normativa sulla corruzione insufficiente perché “frammenta le disposizioni sulla concussione e la corruzione”. La colpa è della politica e non è certo un mistero che “in Italia i legami tra politici, criminalità organizzata e imprese, e lo scarso livello di integrità dei titolari di cariche elettive e di governo sono tra gli aspetti più preoccupanti, come testimonia l’alto numero di indagini per corruzione”, si legge sempre nel primo report sulla corruzione in Europa. Che poi non si tratta solo di una questione morale, ma soprattutto economica. Questo scenario, unito alla burocratizzazione esasperata e la lentezza della pubblica amministrazione, ha un impatto devastante anche sugli investimenti diretti esteri in Italia. In altre parole, i soldi delle aziende straniere se ne vanno. Nel 2012, come riportato dalla Commissione europea, gli investimenti diretti esteri nel nostro Paese sono crollati del 70 per cento: da 34 a 10 miliardi di dollari in un solo anno.

Certo, la cifra di 60 miliardi legata alla corruzione nostrana può sembrare un po’ esagerata. Vorrebbe dire che la metà della corruzione dell’intera Eurolandia ha sede in Italia. In realtà il dato arriva da una relazione della Corte dei Conti del 16 febbraio del 2012 in cui già si parlava di uno scenario “esagerato per l’Italia, considerando che il restante 50 per cento si spalmerebbe senza grandi problemi negli altri 26 Paesi dell’Unione europea”. Probabilmente il valore si tramanda da un’altra relazione, quella del 2009, fatta dell’allora ministro Renato Brunetta che, però, definiva le stime di “50-60 miliardi all’anno come opinioni da prendere come tali”. Ad ogni modo, in Italia la corruzione dilaga. E non avere a disposizione un’Autorità competente che funzioni è grave. Al di là dei numeri.