Annuncio pubblicitario
Italia markets close in 4 hours 10 minutes
  • FTSE MIB

    34.405,18
    +41,43 (+0,12%)
     
  • Dow Jones

    38.503,69
    +263,71 (+0,69%)
     
  • Nasdaq

    15.696,64
    +245,33 (+1,59%)
     
  • Nikkei 225

    38.460,08
    +907,92 (+2,42%)
     
  • Petrolio

    82,73
    -0,63 (-0,76%)
     
  • Bitcoin EUR

    62.160,38
    +251,28 (+0,41%)
     
  • CMC Crypto 200

    1.435,07
    +10,97 (+0,77%)
     
  • Oro

    2.328,40
    -13,70 (-0,58%)
     
  • EUR/USD

    1,0689
    -0,0015 (-0,14%)
     
  • S&P 500

    5.070,55
    +59,95 (+1,20%)
     
  • HANG SENG

    17.201,27
    +372,34 (+2,21%)
     
  • Euro Stoxx 50

    5.026,36
    +18,19 (+0,36%)
     
  • EUR/GBP

    0,8591
    -0,0003 (-0,04%)
     
  • EUR/CHF

    0,9773
    +0,0018 (+0,19%)
     
  • EUR/CAD

    1,4626
    +0,0009 (+0,06%)
     

Italia, un Paese inadatto a lavoro e studio

Lavoro, Ocse: In Italia il 53% dei giovani è precario

Eravamo il Belpaese. Ci chiamavano e ci chiamavamo così. Ma da un po’ di tempo a questa parte siamo di nuovo, solamente, l’Italia. Belpaese sì, ma per passarci una, due, quattro settimane. Per viverci no. Troppe tasse e troppo poco lavoro, troppi inestricabili grovigli clientelari e troppa poca meritocrazia. L’Italia non è un paese per giovani e, a quanto pare, nemmeno per trentenni o quarantenni, per laureati e per precari.

Insomma con le sue attrattive culturali e paesaggistiche, gastronomiche ed enologiche, l’Italia resta un Paese eccezionale per le vacanze, un Paese dei Balocchi dove a godere del divertimento, però, è soltanto il vertice sempre più ristretto della piramide sociale.

È questo il crepuscolare ritratto del nostro Paese che emerge dall’indagine A chi conviene l’Italia?, condotta dal Censis insieme al Club dell’Economia. Un’Italia che scontenta la maggior parte degli italiani e che “conviene” solamente ai politici, ai sindacalisti e alla finanza globale, insomma ai decision maker, quelli che prendono le decisioni guidati, molto spesso, solamente da uno spirito di autoconservazione.

La bilancia dello scetticismo riguardo all’uscita dalla recessione ha i due piatti quasi allineati anche se sembra prevalere, anche se di pochissimo, la fiducia: per il 50,7% della popolazione l’Italia ce la farà, per il 49,3% no. Ma se si  guarda alla distribuzione per fasce di età i fiduciosi sono più che altro i giovani con meno di 34 anni (dove il sì arriva al 62%) e gli over 65 (64% di fiduciosi).

Nel commentare i dati, l’economista Mario Baldassarri ha parlato di classe dirigente trasversale, eternamente al potere e capace di sopravvivere a qualsiasi cambio di governo, un fronte lobbistico in cui i “soliti noti” resistono sia con i governi di centrodestra che con quelli di centrosinistra, tanto con i governi tecnici che con quelli di larghe intese.

Anche agli stranieri (circa cinque milioni) conviene vivere e operare nel nostro Paese che, pur nella decadenza del Welfare, offre ancora opportunità d’impiego. Anche per quanto riguarda lo studio, gli italiani palesano una sfiducia generalizzata nei confronti delle nostre istituzioni: soltanto per il 7% degli intervistati conviene studiare in Italia. Se si guarda alle percentuali di fiducia nei confronti degli investimenti e del lavoro le percentuali sono ancora più basse con un 5,7% e un 5,2% che spiegano molti fenomeni, fra cui quello, dilagante, dei cervelli in fuga.

Ma quali sono i fattori che incancreniscono il tessuto sociale? Per gli interessati il fattore negativo più importante è l’invecchiamento della popolazione che minaccia la sostenibilità del welfare (16,7%), seguito dall’instabilità politica (15,3%) e dalla burocrazia che ostacola le imprese (14,2%). Allora in che cosa è ancora riposta la fiducia degli italiani? Nell’enorme patrimonio artistico e culturale (31,3%) che non viene abbastanza valorizzato dalla politica, nei brand (24,3%) e nelle reti di solidarietà (11,8%).

Il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, ha commentato i dati spiegando come la percezione della stasi socio-economica del nostro Paese non corrisponda al vero: “Ogni trimestre si fanno mezzo milione di contratti a tempo indeterminato, 1,7 milioni a tempo determinato e 70.000 di apprendistato”. Giovannini non nasconde, però, quelle come vi sia una bassa protezione per chi perde il lavoro e come il sistema vada cambiato nel suo complesso. Come? Con maggiori investimenti sui giovani, sostegni concreti alle fasce più deboli della popolazione (i 5 milioni di poveri che vivono nel nostro Paese) e l’impegno personale dei manager per abbattere il peso della burocrazia.