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La crisi comincia dai vertici: quando la colpa è dei manager

Zanonato: Evitare aumento Iva, agire su Imu prima casa e capannoni

Il premier Enrico Letta, qualche settimana fa, l’ha detto che con le agevolazioni per le assunzioni le imprese non avranno più alibi. E negli scorsi giorni anche Giorgio Squinzi, numero uno di Confidustria ha detto che le deroghe ai contratti (come quelle per l’Expo 2015) e i contratti flessibili “buoni” potranno rilanciare l’occupazione e spetta dunque ai dirigenti e ai manager tornare a premere sull’acceleratore.

Il problema è che nel passato più o meno recente si è pigiato sull’acceleratore senza avere innestato la prima, con la marcia in folle. Il risultato? Il motore dell’economia nazionale si è ingolfato.

La colpa? Il contesto, certo. Ma anche la dirigenza: troppo spregiudicata, troppo disinvolta, troppo avventuriera. E così a molte aziende è toccato scontare – con fallimenti e/o riduzioni d’organico – gli errori dei propri manager.

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Il caso emblematico è quello della bancarotta di Agile. Venerdì 12 luglio il tribunale di Roma ha emesso le sentenze di primo grado: nove anni ad Antonangelo Liori, otto anni a Claudio Marcello Massa e 6 anni a Isacco Landi. Manager che consapevolmente “lavoravano” contro l’azienda, in una “colossale operazione dolosa volta a cagionare il fallimento della società Agile al fine di spogliarla dei suoi asset e di sottrarre la garanzia ai creditori più importanti, i circa duemila dipendenti”.

Altro che azienda-comunità, solidarietà e welfare d’impresa, la “cricca” che gravitava intorno ad Agile è ben sintetizzata dalle parole rubate a Liori durante un’intercettazione: “Se fallisce Eutelia io continuo ad avere la mia macchina, il mio autista, il mio elicottero, la mia villa, tutto uguale, e loro non hanno più un lavoro. Questa è la storia!”. Una storia che ricorda chi rideva sulle macerie fumanti del terremoto abruzzese.

Di reati della dirigenza, bancarotte fraudolente e casi di corruzione sono, purtroppo, pieni zeppi i tribunali di mezza Italia.

Restano col fiato sospeso i dipendenti della Fincantieri, azienda sotto indagine della Procura di Milano per un giro di tangenti. L’ex tesoriere della lega, Francesco Belsito, occupava un posto nel consiglio di amministrazione ed era quasi riuscito a far assumere con un contratto da dirigente l’ex autista di Bossi, Maurizio Barcella. Tanto per restare nel capoluogo lombardo, c’è l’affaire dell'Ospedale San Raffaele, con la cricca di Don Verzè, per la quale come spesso accade a pagare non sono mai i vertici ma la base, quella base che ha appena evitato 250 esuberi.


E al Sud c’è l’Ilva diventato ormai un inestricabile matassa di corruzione, inquinamento e capitali all’estero.

Il Ministero dello Sviluppo Economico che dovrebbe fare da garante ha commesso anche numerosi errori come con i casi della Vinyls (oggetto di una trattativa con Robert Jezic arresto per corruzione) e della Alcoa (oggetto della trattativa con la Glencore, proprietari della Portovesme indagata per elusione fiscale). Anche in questo caso il valzer dei ministri non ha certo agevolato l’assunzione di responsabilità da parte della politica che sbaglia ma non paga mai il conto.

I ministri cambiano chi, invece, rimane e spera a tutti i costi di mantenere il posto di lavoro sono impiegati e operai. Che qualche volta decidono che il limite è stato superato. Come è successo per Agile Eutelia: grazie alla Fiom ben 1.070 dipendenti saranno i primi dipendenti a intentare una causa penale per bancarotta fraudolenta a un’azienda italiana. Una conquista sulla quale il Ministero dello Sviluppo non metterà il cappello. I vertici "conservano", l’unica speranza di cambiamento arriva dal basso.