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Meeting Opec in corso: Iran e Iraq ottimisti sull'accordo

E' già in corso a Vienna l'atteso meeting dell'Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio. Il cartello petrolifero, che raccoglie 14 dei maggiori produttori mondiali e rappresenta circa un terzo della produzione globale di greggio, è chiamato a decidere se trasformare in un vero accordo l'intesa preliminare su un taglio della produzione raggiunta due mesi fa, nel precedente vertice di Algeri.

L'obiettivo è quello di ridurre l'eccesso di offerta che ha pesantemente inciso sui prezzi negli ultimi due anni: il 28 settembre scorso, l'Opec aveva colto di sorpresa il mercato comunicando di avere in programma una riduzione della soglia produttiva verso i 32,5-33 milioni di barili al giorno, un target che implica una riduzione di circa un milione di barili al giorno rispetto alla produzione attuale e rappresenta un taglio dell'1% della produzione globale di greggio.

Il tentativo di accordo, che sarebbe il primo in otto anni, è il risultato del crollo dei prezzi che ha fatto precipitare le quotazioni dell'oro nero ai minimi degli ultimi dodici anni a gennaio 2016, mettendo sotto fortissima pressione i bilanci di molti dei Paesi dell'area, dal Venezuela all'Arabia Saudita.

Entrando questa mattina al Vienna Park Hyatt Hotel, sede dell'incontro, un delegato iracheno ha dichiarato alla stampa che oggi "ci sarà l'accordo", mentre il ministro iraniano del petrolio iraniano Zanganeh ha espresso "ottimismo", pur precisando che nessun taglio produttivo è stato richiesto a Teheran. Dopo l'incontro - le riunioni Opec durano mediamente dalle due alle otto ore - il risultato verrà formalmente comunicato con la lettura di una dichiarazione congiunta.

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I nodi della trattativa

La commissione che ha condotto i lavori di preparazione al meeting ha tenuto tre incontri negli ultimi due mesi, ma con l'avvicinarsi dell'appuntamento di oggi sono apparse sempre più profonde le divergenze tra alcuni dei membri di maggior peso all'interno dell'Organizzazione.

Lunedì scorso, al termine di una riunione fiume durata oltre dieci ore, il delegato degli Emirati Arabi ha dichiarato che la roadmap definitiva era finalmente stata approvata, ma secondo le indiscrezioni di stampa circolate nelle ore successive gli ultimi colloqui pre-vertice non avrebbero condotto a nessun risultato tangibile sui principali nodi che dividono i paesi produttori.

La difficoltà principale resta l'indisponibilità di Iran e Iraq ad addossarti una parte delle quote di riduzione da distribuire tra i singoli membri del cartello.

Gli iraniani, che in un primo tempo avevano insistito sulla loro volontà di recuperare del tutto la quota produttiva di 4,2 milioni di barili al giorno precedente le sanzioni internazionali, hanno col tempo mostrato una maggiore disponibilità a tenere i livelli produttivi stabili intorno ai livelli attuali. Secondo le cifre diffuse dal blog finanziario ZeroHedge lunedì, i sauditi avrebbero tuttavia chiesto a Teheran di congelare la produzione a 3,7 milioni di barili, al di sotto della soglia richiesta dagli iraniani di 3,97 milioni di barili.

Quanto all'Iraq, il ministro Al Luaibi non sembra disponibile a dare il via libera a una schema di ripartizione delle quote che assegna al Paese una soglia inferiore ai 4,2 milioni di barili giornalieri, né d'altra parte la proposta di Bagdad di mantenere un livello produttivo di 4,5 milioni di barili, giustificata con la necessità di finanziare il conflitto in corso contro l'Isis, è sembrata nelle scorse ore sufficiente agli altri paesi del cartello.

La retromarcia dei sauditi

I sauditi hanno più volte dichiarato di considerare un prezzo di 60 dollari come il target ideale, ma di non essere disposti ad addossarsi l'intera quota delle riduzioni. D'altra parte, Rihad non sembra disponibile ad accettare che gli iraniani, principali rivali nell'area, possano rimanere fuori dall'accordo. E' per questo che la retorica saudita, inizialmente molto ottimista, è cambiata lo scorso fine settimana, quando per la prima volta il ministro Khaled Al-Faleh ha dichiarato che l'Opec non ha bisogno di tagliare la produzione per riequilibrare il mercato e che l'Arabia Saudita potrebbe lasciare Vienna anche senza un accordo.

Gli scenari possibili e le stime degli analisti

Le difficoltà dei negoziati delle ultime settimane hanno prodotto un certo pessimismo in molti commentatori. Secondo Tim Evans, responsabile analisi sull'Energia presso Citi Futures, l'Opec corre il rischio di avviarsi verso quello che potrebbe essere un"debole e infelice compromesso ".

Decisivo sarà l'atteggiamento di Rihad. "Perché l'accordo abbia successo," dice Vyanne Lai, analista della National Australia Bank, "l'Arabia Saudita dovrà essere quella che fa le maggiori concessioni".

D'altro canto, come suggerito da Vikas Dwivedi, economista presso at Macquarie Research in una nota di ieri, "se Iran, Iraq e Russia crano una tripletta di non-partecipazione, crediamo che i sauditi non avranno altra scelta che quella di porre fine ai negoziati."

Quanto alla relazione tra l'esito dei negoziati e l'andamento dei prezzi del greggio nei prossimi mesi, gli analisti di Goldman Sachs (NYSE: GS-PB - notizie) ritengono che in caso di accordo le quotazioni andrebbero intorno ai 50-55 dollari, mentre se non si trova l'intesa si tornerebbe sotto i 40 dollari.

Più preoccupata la previsione di Amrita Sen, analista di Energy Aspects. In un'intervista a Bloomberg delle scorse ore ha dichiarato che un fallimento pieno dei negoziati innescherebbe una "profonda correzione" dei prezzi che potrebbe portare le quotazioni verso i 20 dollari. Con conseguenze anche per la struttura stessa dell'Organizzazione dei paesi produttori.

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