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Patroni Griffi, il sottosegretario "ricco" grazie alla sua legge

Un sottosegretario e un viceministro che guadagnano più del presidente del Consiglio. Verrebbe da sorridere se non fossero soldi pubblici quelli che la Casta usa a suo piacimento. Euro nostri che il governo continua a chiederci, anche se manca il lavoro, tanto i politici sanno sempre dove recuperare denaro per loro. La storia non è originale: il Palazzo fa una legge ma poi trova sempre il modo di applicarla a suo vantaggio. Perché a smenarci, purtroppo, sono sempre i cittadini. E così il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Filippo Patroni Griffi e il viceministro all’Economia, Antonio Catricalà, sommando tutti i loro stipendi guadagnano il doppio rispetto a un ministro.

Faccio la legge, ma mi tengo il comma che mi fa comodo. Il decreto legge 54 del 21 maggio 2013, redatto appunto dal sottosegretario Filippo Patroni Griffi, sancisce che i ministri “non possono cumulare il trattamento stipendiale”. E’ la famosa norma sulla trasparenza. Basta doppie indennità, chi è già parlamentare non può avere anche la busta paga da ministro. Lo stipendio lordo da ministro è di 63mila euro all’anno, quello di deputati e sanatori di 135mila: ovviamente tutti hanno scelto quest’ultimo. I ministri non eletti in Parlamento, invece, hanno diritto ad essere equiparati, dunque anche per loro ogni anno in banca arrivano 135mila euro.

E fin qui la norma, tutto sommato, è anche comprensibile, facendo un piccolo sforzo. Ma il decreto Patroni Griffi lascia aperta una possibilità (articolo 3, comma 1 bis) che in buona sostanza consente sia a lui che al viceministro dell’Economia, Antonio Catricalà, di guadagnare molto di più degli altri membri dell’esecutivo. I meandri della legge sono un po’ noiosi – mica tutti hanno una laurea in giurisprudenza – ma vale la pena seguire il filo. Il comma 1 bis, infatti, rimanda all’articolo 1 della legge 418 del 1999 che, appunto, equipara il trattamento dei ministri non parlamentari a quello dei parlamentari. Per completare il quadro normativo, aggiungiamo anche due leggine del 1993 e del 1980, gli anni del boom del debito pubblico, quando si spendeva quanto o anche più di oggi, ma nessuno si lamentava. Queste due leggi permettono a Patroni e Catricalà di conservare la paga dell’amministrazione pubblica dalla quale sono in aspettativa. Cioè consentono di incassare ulteriore denaro pubblico per un lavoro che non stanno facendo. Entrambi sono presidente di sezione del Consiglio di Stato: Catricalà è fuori ruolo da dodici anni e Patroni da due. Nonostante questo, gli scatti di carriera non si fermano e il compenso sale. Dalla segreteria generale della Giustizia amministrativa fanno sapere che il Consiglio di Stato versa sia a Patroni che a Catricalà 243.911,91 euro lordi all’anno per non fare praticamente nulla.


La Casta fa quello che vuole. A dire il vero, c’è anche chi se la passa meglio di Patroni e Catricalà. I dirigenti di prima fascia e dei capi di gabinetto di Palazzo Chigi possono contare su retribuzioni da favola. Elisa Grande, vicesegretario generale, incassa 236mila euro lordi l’anno. A Guido Carpani, capo gabinetto del ministro della Pubblica amministrazione Giampiero D’Alia, finiscono in tasca 225mila euro lordi. Oltre a loro ci sono altri 25 dirigenti che superano i 200mila euro di stipendio annuo, molto di più dei ministri dai quali dipendono e che dovrebbero servire. In media i cento dirigenti di prima fascia della presidenza del Consiglio percepiscono 188mila euro lordi l’anno. Cifre troppo alte ma “giustificate” dal raggiungimento del massimo degli obiettivi e del rendimento, quindi vedersi riconoscere il massimo dei premi di risultato e della parte variabile della paga. A Palazzo Chigi succede praticamente a tutti, alla faccia della meritocrazia. Dal commesso fino allo stenografo, non è una prerogativa esclusiva dei dirigenti.

Bisognerebbe prendere esempio dall’Inghilterra dove il premier David Cameron ha deciso che i funzionari meritevoli non potranno essere più del 25 per cento per ogni dipartimento. E per decidere quali ha nominato una commissione esterna all’amministrazione. Sennò non si capisce cosa debba o possa fare il commissario alla spending review, Carlo Cottarelli. Perché non iniziare a tagliare i premi concessi troppo facilmente a tutti? Più semplice aumentare le tasse, ovviamente sempre a tutti.