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Pensioni, anzianità vs. vecchiaia

Pensioni di anzianità (Fotolia)

E’ passato quasi un anno, ma di acqua sotto i ponti della riforma Fornero sulle pensioni ne è già passata tanta. E altra probabilmente dovrà passarne nel prossimo futuro. Le nuove disposizioni sulla previdenza, che nel dicembre 2011 sono state inserite nel cosiddetto decreto “Salva-Italia”, hanno cambiato nella sostanza la materia. I sacrifici per molte categorie di lavoratori faranno sentire i loro effetti anche, e soprattutto, nelle tasche delle giovani generazioni.
Le certezze, infatti, sono un’età pensionabile sempre più in là nel tempo, addirittura fino a 70 anni se non di più e un assegno mensile sensibilmente più basso rispetto al recente passato. Queste non entusiasmanti prospettive sono la conseguenza dell’abolizione della pensione di anzianità, sostituita da quella anticipata. Resta, invece, ma a condizioni più pesanti, la pensione di vecchiaia. Prima di affrontare nei dettagli questo aspetto è necessaria una premessa.

Alla base del nuovo sistema previdenziale, in vigore dall’1 gennaio 2012, c’è il passaggio al sistema contributivo, cioè l’importo della pensione viene calcolato sui contributi effettivamente versati nel corso della vita lavorativa. Viene quindi messo definitivamente da parte il sistema retributivo, che calcolava l’assegno previdenziale sulla base della media della retribuzione degli ultimi 10 anni (15 anni per gli autonomi) nella misura del 2 per cento di questa media per ogni anno di contribuzione.
Questa importante novità comporta una generale diminuzione dell’importo della pensione, anche se c’è una rivalutazione di questo valore in base all’indice Istat delle variazioni quinquennali del Pil e una moltiplicazione per un “coefficiente di trasformazione” variabile, in base all’età del lavoratore al momento della pensione. I coefficienti per il triennio 2013-15, per chi smetterà di lavorare prima dei 65 anni varieranno dal 4,304 per cento per un pensionamento a 57 anni (-0,116 per cento rispetto a ora) al 6,541 per cento per un pensionamento a 70 anni (+0,921 per cento rispetto a ora). Condizioni non propriamente favorevoli.

Il nuovo sistema previdenziale, messo a punto dal Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Elsa Fornero, è contributivo pro rata, cioè misto. Ci sono, infatti, tre distinte situazioni. Chi ha iniziato a lavorare meno di 18 anni fa ma prima del 31 dicembre 1995, anno di entrata in vigore della riforma Dini che per prima introdusse il sistema contributivo, avrà una pensione calcolata con il retributivo fino al 1995 e poi tutta con il contributivo. Chi è più anziano e lavora da più di 18 anni avrà il calcolo retributivo fino alla fine del 2011 e poi contributivo. Per chi, invece, è più giovane e fino al 31 dicembre 1995 non lavorava ancora, il calcolo della pensione sarà interamente contributivo.

L’impatto immediato più forte delle nuove regole previdenziali resta il cambiamento sulle vecchie pensioni di anzianità e di vecchiaia. Ecco come sono diventate dall’1 gennaio del 2012.

Pensione di anzianità.
Questa forma previdenziale, che si poteva ottenere al raggiungimento di un determinato numero di anni di contribuzione prima dell’età pensionabile, è sostanzialmente abolita. Quindi non basteranno più 35 anni di contribuzione e 60 anni di età anagrafica, o alternativamente 40 anni di contribuzione prescindendo dall’età del richiedente. Scompaiono anche il “sistema delle quote” e le “finestre di uscita”. Le prime, con una contribuzione di almeno 35 anni, facevano la somma dell’età anagrafica e dell’anzianità contributiva del lavoratore. Si andava da quota 95 (con almeno 59 anni di età) del luglio 2009 alla prevista quota 97 (con almeno 61 anni di età) del gennaio 2013. Le finestre di uscita, invece, erano il principio per cui, una volta conseguito il diritto alla pensione, la sua decorrenza non è immediata ma è soggetta ai contributi versati e alla natura lavorativa (se lavoratore dipendente o autonomo). In pratica il meccanismo prevedeva che se la pensione scattava nel 1° trimestre (gennaio-marzo) decorreva da luglio dello stesso anno, se nel 2° trimestre (aprile-giugno) da ottobre dello stesso anno, nel 3° trimestre (luglio-settembre) da gennaio, nel 4° trimestre (ottobre-dicembre) da aprile dell’anno successivo.


Con la riforma Fornero le regole precedenti sono rimaste in vigore solo per chi aveva maturato i requisiti entro il 31 dicembre 2011. Per gli altri la pensione di anzianità assume il nome di anticipata. Chi vuole andare in pensione prima dell’età di vecchiaia, può farlo, se ha una certa “anzianità contributiva” che nel 2012 è di 41 anni e un mese per le donne, 42 anni e un mese per gli uomini. Soglie destinate a salire di un mese nel 2013 e nel 2014. Previste anche una penalizzazione: ‘'importo della pensione viene tagliato dell’1 per cento per ciascun anno di anticipo rispetto ai requisiti di vecchiaia, stabiliti per quest’anno a 66 anni per gli uomini e 62 per le donne. Non mancano le eccezioni. Ad esempio possono andare in pensione a 64 anni i lavoratori del settore privato che, in possesso di 35 anni di contribuzione, con le vecchie regole avrebbero maturato i requisiti di anzianità con il sistema delle “quote” entro il 31 dicembre 2012. Particolare anche il caso delle lavoratrici del settore privato, che hanno maturato 60 anni d’età e 20 anni di contributi entro il 31 dicembre 2012.

Pensione vecchiaia.
Un aggravamento si registra anche per questo tipo di previdenza che si può ottenere al raggiungimento di una determinata età anagrafica. Già dal 2012, infatti, gli uomini dovranno raggiungere i 66 anni, un immediato innalzamento del limite di un anno rispetto al passato. Per le donne, invece, c’è una distinzione. Se lavoratrici dipendenti pubbliche sono parificate agli uomini già da quest’anno, se dipendenti private andranno in pensione a 62 anni e se, infine, autonome a 63 anni e 6 mesi. Questa soglia progressivamente aumenterà negli anni fino alla completa equiparazione ai 66 anni degli uomini nel 2018. In tutti i casi è necessario avere un’anzianità contributiva di almeno 20 anni. E nel prossimo futuro la situazione peggiorerà ulteriormente. L’età della pensione diventerà gradualmente, per tutti, 67 anni e 2 mesi, nel 2021, senza distinzioni di sesso o di ambito lavorativo. Poi subirà degli adeguamenti ogni tre anni e dal 2019 ogni due, in base alle variazioni della speranza di vita.
I professionisti iscritti agli Ordini, e di conseguenza alle Casse previdenziali autonome, seguono invece le regole della propria Cassa.
Con le nuove regole si introduce anche il concetto di pensionamento flessibile. E’ possibile, infatti, ritirarsi da lavoro anche dopo aver maturato i requisiti di vecchiaia, fino all’età di 70 anni. In questo  caso l’importo della pensione aumenta grazie al “coefficiente di trasformazione” che tiene conto dell’età. Chissà che le novità della riforma Fornero non cambino la mentalità degli italiani. Il Belpaese, infatti, è ancora spaccato in due. Secondo statistiche riferite al 2011 due terzi delle pensioni d'anzianità erogate dall'Inps si concentrano ancora al Nord. Prevalgono invece, nel Meridione, gli assegni sociali e quelli destinati all'invalidità civile.