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Le banche investono sui titoli di Stato

Tempi duri per i risparmiatori. La Borsa da mesi registra segnali di nervosismo, lo spread rimane instabile e le banche, di conseguenza, corrono ai ripari. Qualche settima fa, per esempio, la Bank of Japan, la Banca centrale del Giappone, è intervenuta per limitare le perdite delle Borse asiatiche, comprando exchange-traded funds (gli ETF sono fondi comuni d’investimento caratterizzati da una gestione passiva) per circa 500 milioni di dollari.

E se guardiamo in casa nostra, le banche italiane sono imbottite di titoli di stato. Gli investitori esteri non comprano più. Ci pensa la Banca Centrale Europea, la Banca europea per gli investimenti (Bei), passando per la Cassa depositi e prestiti (Cdp). Ma, fino ad oggi, la maggior domanda di bond governativi italiani è stata sostenuta principalmente dalle nostre banche. Da settembre, come ha confermato Morgan Stanley, i principali attori sul mercato primario, ovvero le aste del Tesoro, sono stati proprio gli istituti di credito italiani. “Circa il 75% dell’ammontare in asta è finito in mano all’Italia”, confermano gli analisti della banca americana. Anche grazie alla campagna per il collocamento dei Btp Italia che ha portato circa 7,5 miliardi di euro nella casse del Tesoro, merito della buon lavoro mediatico fatto per pubblicizzare la vendita

E sì perché gli istituti di credito esteri, di buoni del Tesoro italiani, proprio non ne vogliono sapere. A confermare il trend di allontanamento ci hanno pensato due ricerche recenti, una di Société Générale e l’altra di Santander. Entrambe hanno messo in luce la crisi di fiducia che gli investitori stranieri hanno nelle obbligazioni nostrane. Un anno fa il debito pubblico detenuto in mani estere era attorno al 43%; oggi si è scesi al 38 per cento. “La ricerca di sicurezza sta portando gli investitori esteri verso i Bund tedeschi o il Treasury americano”, spiega SocGen. “Se il processo di integrazione europea, soprattutto legato al Fiscal Compact, andrà secondo le previsioni, è possibile che solo nel 2016 la quota di investitori non residenti torni al livello del 2008”. Sulla stessa lunghezza d’onda la spagnola Santander che sottolinea, però, come “il percorso dell’Italia sui mercati obbligazionari non è paragonabile a quello iberico”. Lascia più spazio all’ottimismo l’olandese Rabobank che stima un ritorno di investitori esteri a partire del 2014. Crisi europea permettendo.

Insomma le banche italiane fanno il pieno di obbligazioni e, in pratica, si comprano buona parte del debito del Paese. Il ruolo che svolge la Bce, come anticipato, è molto importante. L’istituto di Mario Draghi, infatti, grazie alle due operazioni di rifinanziamento a lungo termine (Long-term refinancing operation, Ltro), di dicembre e febbraio, ha garantito una discreta liquidità agli istituti italiani. Per la precisione 255 miliardi di euro, secondo i dati forniti da Bloomberg, su 1.030 miliardi totali. E questo denaro è stato usato dalle banche per sostenere il Tesoro durante le aste del primo trimestre dell’anno. Soprattutto per questa ragione, nelle giornate in cui lo spread segna preoccupanti balzi al rialzo, i titoli bancari accusano il colpo, possedendo in portafoglio Bot e Btp.

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Non solo istituti di credito italiani, si diceva. I buoni del Tesoro sono anche nel portafoglio dell’Eurotower. La Bce, infatti, tramite il Securities markets programme (Smp), lo speciale programma di acquisti di bond governativi, si muove sul mercato secondario. I Btp italiani sono finiti anche nelle tasche della Banca europea d’investimenti per 2,547 miliardi di euro, contro i 1,385 miliardi di un anno fa. Gli acquisti di obbligazioni sono aumentati considerevolmente tra il 2010 e 2011, insieme ai Bonos spagnoli. La Cassa depositi e prestiti, infine, ha avuto un incremento del 214,7% degli asset contenuti nel suo portafoglio dei titoli di debito sovrano. Circa 17,194 miliardi di euro, a fine 2011, di bond di Paesi europei, ma il 95% italiani. A giugno dello scorso anno, come conferma la nota semestrale della Cdp, il portafoglio di questi titoli aveva un valore di 5,967 miliardi di euro, con un incremento di circa 9 punti percentuali rispetto ai sei mesi precedenti.

Nei prossimi anni è lecito attendersi un aumento delle esigenze di rifinanziamento dell’Italia e senza aiuti esterni, lo sforzo potrebbe risultare troppo grande. Giusto un esempio per capire l’aria che tira: alla fine dello scorso anno, la banca giapponese Nomura ha ridotto dell’83% la sue esposizione al debito italiano, da 2,81 miliardi di dollari a 467 milioni di dollari, preferendo puntare sui titoli di Stato nipponici.