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Rapporto annuale ISTAT: sempre più italiani a 34 anni vivono ancora con i genitori perché non possono mantenersi

Tra le tante informazioni contenute nel Rapporto Annuale dell'ISTAT diffuso ieri, si torna a parlare della situazione dei giovani e della loro uscita dalla famiglia d'origine. Un'uscita sempre più posticipata. I dati, infatti, sono preoccupanti: il 41,9% degli italiani di età compresa tra 25 e 34 anni vive ancora in casa con i genitori (contro una percentuale del 33,2% registrata nel 1993). Stessa condizione anche per il 7% di chi ha tra i 35 e i 44 anni, il doppio rispetto a 19 anni fa.
Quello con il nucleo familiare d'origine è quindi un distacco che viene sempre più rimandato nel tempo, ma non certo per scelta. Almeno per il 45% della fascia 25-34 anni, che dichiara di non poter andar via da casa, perché non in grado di mantenersi economicamente, pagare un affitto o, sogno ormai sempre più remoto, accedere a un mutuo per acquistare un'abitazione propria. Questo la dice lunga sul fatto che, oltre al problema sempre più stringente della disoccupazione (il tasso è arrivato al 9,8% a marzo 2012, secondo l'ISTAT), evidentemente anche per chi un lavoro ce l'ha, le condizioni economiche, almeno secondo l'esperienza di una parte rilevante della popolazione, non sono ritenute soddisfacenti, vuoi per la precarietà della posizione, vuoi per l'esiguità del compenso. Si può facilmente dedurre come questa permanenza prolungata presso la famiglia di origine, accompagnata ad una condizione economica sempre più precaria, abbia come prima e più immediata conseguenza sociale il ritardo con cui le persone riescono a "mettere su famiglia" (sia essa un matrimonio o una convivenza) e questo abbia a sua volta un'immediata ricaduta sul calo delle nascite e quindi sul rinnovamento stesso della nostra società, che in questo modo invecchia sempre di più.
Altro dato molto preoccupante è l'aumento dei "NEET", nella fascia d'età tra i 15 e i 29 anni, cioè quelle persone che né studiano, né cercano un lavoro, che ammontano ad oggi a 2 milioni in Italia, più di un giovane su cinque. Segnale probabilmente della sfiducia crescente verso un futuro che appare incerto e dipinto da ogni parte a tinte sempre più fosche, tanto da andare a intaccare proprio lo studio e il lavoro, le due principali risorse di ascesa sociale del secolo scorso. Rileva infatti l'ISTAT come si sia ridotta la mobilità ascendente e sia invece cresciuta quella discendente, soprattutto per la classe media impiegatizia e la borghesia. Una sfiducia, questa che serpeggia tra i giovani ma non solo, che dovrebbe far riflettere chi è preposto a decidere la politica economica del nostro paese, perché una società che non riesce a dare una prospettiva ai propri giovani non può che ripiegarsi sempre di più su se stessa. E invece di incentivare il progresso culturale e sociale, cova dentro di sé un disagio che può facilmente sfociare in depressione, nichilismo, rabbia e moti antisociali, come per altro sembrano dimostrare sempre più spesso le recenti cronache.