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Web Tax rinviata al 2014

La Web tax, tra mille polemiche, ha subito un rinvio al 1 luglio 2014. Tale disposizione, contenuta nel Milleproroghe, si è resa necessaria al fine di evitare una possibile procedura di infrazione dell’Unione Europea nei confronti del nostro paese. Con il rinvio, inoltre, ci sarà tutto il tempo per avviare una discussione sulla riformulazione della norma, che ha creato non poche spaccature all’interno della maggioranza di governo.

Come è ormai noto, la Web tax, o Google tax, è una legge che obbliga le grandi corporation di internet (Google, Facebook, Amazon) a pagare le tasse nel nostro paese. Soggetti a tassazione dovrebbero essere i ricavi delle società, per la maggior parte provenienti dalle vendità di inserzioni pubblicitarie. Ciò, però, entra in conflitto con le normative della Ue, che consentono ai colossi del web di avere una sola sede legale in Europa, e non una per ogni paese in cui operano.

Le società, ovviamente, scelgono (come sedi) Stati in cui possono giovarsi di regimi fiscali agevolati (come ad es. il Lussemburgo).  In questo modo riescono a pagare imposte irrisorie negli altri paesi in cui offrono servizi. Basti pensare che Facebook, del giovane magnate Mark  Zuckerberg, ha versato nelle casse italiane nel 2012 appena 192 mila euro.

La Web Tax italiana, elaborata da Francesco Boccia del Partito Democratico, “scavalcava” le normative europee e andava dritta al cuore del problema. Ovvero rendeva cogente, per tutte le società che vendono pubblicità e servizi, l’apertura di una partita iva nel nostro paese. Dopo una prima approvazione alla Camera della norma, però, il governo ha dovuto fare marcia indietro. In primo luogo a causa delle critiche che ci sono arrivate dall’Europa.

Già lo scorso 19 dicembre si era fatto sentire il portavoce del commissario europeo per la fiscalità e l'unione doganale Algirdas Semeta: Emer Traynor. Quest’ultimo si era espresso molto negativamente sulla Web Tax; a suo avviso sarebbe: “contraria alle libertà fondamentali e ai principi di non-discriminazione dei trattati”. Queste parole sono suonate come un monito severo per l’Italia, che lasciava intendere il rischio di una multa molto salata. D’altro canto le regole comunitarie parlano chiaro e non sono aggirabili:  “Le persone che esercitano attività indipendenti e i professionisti o le persone giuridiche che operano legalmente in uno Stato membro possono esercitare un’attività economica in un altro Stato membro su base stabile e continuativa o offrire e fornire i loro servizi in altri Stati membri su base temporanea pur restando nel loro paese d’origine”.

A rallentare l’entrata in vigore della Web Tax sono arrivate, poi, anche le prese di posizione del neo segretario del Pd, Matteo Renzi. Ques’ultimo ha chiesto formalmente al governo Letta di procrastinare il provvedimento. Secondo il sindaco di Firenze, infatti, il tema della Web Tax va ridiscusso in Europa, perché soltanto attraverso una decisione concertata degli Stati membri è possibile giungere ad una soluzione del problema. Per Renzi, inoltre, la tassa voluta da Boccia darebbe una cattiva immagine dell’Italia, ovvero quella di Paese imbalsamato, nemico dell’innovazione.

Altre critiche al provvedimento sono venute da economisti di area liberal. Questi respingono la Web Tax, perché si pone come una misura protezionistica, che potrebbe tenere lontano gli investitori esteri. Inoltre si paventano “ritorsioni” nei confronti di aziende italiane che esportano via e-commerce. Queste potrebbero essere costrette ad aprire sedi in altri paesi del mondo.

Infine segnaliamo che anche Beppe Grillo si è scagliato contro la Web Tax. Sul suo blog ha condannato senza appello la tassa e i suoi difensori, in primo luogo Carlo De Benedetti. Scrive il leader del Moviemnto 5 Stelle: “Chi beneficia di questa legge? Le concessionarie pubblicitarie italiane che vendono pubblicità in Italia e i grandi editori dotati di concessionaria di proprietà. Tra i maggiori beneficiari la Manzoni dell’ingegner De Benedetti”.

Dunque tutto rinviato al 2014.