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Articolo 18: grande problema o guerra di religione?

La riforma del mercato del lavoro sembra ruotare intorno all'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori: per alcuni va abolito senza se e senza ma perché frena gli investimenti esteri in Italia, per altri è intoccabili, infine c'è una posizione intermedia che propone un ammorbidimento della sua funzione. Ma quanti sono realmente i lavoratori interessati da questa tutela e da una sua eventuale revisione?

I dati

C'è chi parla di poche decine all'anno e chi ne stima 300. Nelle ultime settimane i giornali hanno riportato cifre "ballerine" in merito alle controversie di lavoro legate all'articolo 18 che sono sfociate in un reintegro del lavoratore licenziato. A prescindere da chi abbia ragione, resta un dato di fatto: su circa 150mila cause di lavoro che vengono intentate ogni anno, quelle riguardanti ipotesi di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo costituiscono una sparuta minoranza. Tanto da far pensare che il dibattito sulla sua abolizione o meno assuma un valore al di là della sua portata numerica.

La posizione del Governo

Ufficialmente il Governo Monti non si è mai espresso per un'abolizione della norma, ma gli interventi delle ultime settimane da parte del premier e di diversi ministri economici hanno rilanciato la proposta di una riforma radicale, che sembra andare verso una sostituzione del reintegro con un robusto risarcimento. Una posizione dettata dalla volontà di superare le incertezze attuali (le cause durano fino a sei anni e le pronunce dei Tribunali sono state finora molto difformi tra loro), permettendo così all'Italia di tornare ad attirare investimenti internazionali (i soldi non mancano oltrefrontiera, ma vanno nei mercati in cui c'è maggiore certezza del diritto.

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Una posizione condivisa dal Pdl e da Confindustria, ma osteggiata dai sindacati, pur con diversi accenti: a una chiusura totale da parte della Cgil e dei partiti di sinistra si affianca una piccola apertura da parte della Cisl che chiede di far entrare nel percorso della mobilità (prevista per i licenziamenti collettivi delle aziende con oltre 15 dipendenti) anche quelli individuali. Mentre il PD chiede all'Esecutivo di concentrarsi su altre priorità.

Prevale l'ideologia

Tornando alla domanda iniziale: se i numeri in ballo sono così risicati, come mai tanta attenzione da parte di tutte le forze politiche e sociali? La sensazione è che in ballo ci sia soprattutto il ruolo delle organizzazioni sindacali e datoriali nella gestione delle situazioni di crisi, che rischia di indebolirsi con una riformulazione dello Statuto dei lavoratori, che prenderebbe il via proprio con l'articolo 18. A questo si aggiunge il fatto che la battaglia su questa norma — come spesso avviene in Italia — si è trasformata in una contrapposizione ideologica, per cui si tendono a estremizzare le posizioni per non cedere alle buone ragioni dell'avversario. Il risultato è che, con ogni probabilità, a pagare saranno coloro che non hanno alcuna tutela (e che sono esclusi dal dibattito), una platea crescente in tempi di disoccupazione crescente e sempre più frequente ricorso ai contratti atipici.