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Cosa attendersi davvero dalle privatizzazioni

Si comincia con Fincantieri a giugno, per poi proseguire con Poste, Enav e altre aziende ancora completamente nella mani dello Stato, senza escludere una discesa della partecipazione pubblica in altre realtà come Enel ed Eni. Il tema delle privatizzazioni è uno dei più caldi del momento, tanto da riscaldare il dibattito politico tra quanti sottolineano l’urgenza di accelerare le dismissioni per ridurre l’enorme mole di debito pubblico che soffoca l’Italia e altri che invece sottolineano i rischi di perdere aziende strategiche per il Paese. Proviamo a capirne di più analizzando le grandezze in gioco.

Tre anni di annunci…

Della necessità di avviare un’altra stagione di privatizzazioni si discute dalla fine del Governo Berlusconi, quando lo spread era ai massimi ed erano diffusi i timori sulla capacità di tenuta dell’Italia.

L’arrivo di Mario Monti alla guida del Governo era coinciso con un programma di dismissioni pubbliche, poi ribadito anche dal successore Enrico Letta. Finora, tuttavia, agli annunci non sono seguiti i fatti in primo luogo per le difficili condizioni dei mercati finanziari, e in seconda battuta per le resistenze in tal senso. Ora il nuovo premier Matteo Renzi appare intenzionato a dar seguito a quei programmi, iniziando con l’Ipo di Fincantieri, uno dei colossi della cantieristica mondiale che fa capo a Fintecna (gruppo Cassa Depositi e Prestiti, la cui maggioranza azionaria fa capo al Tesoro).

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Le grandezze in gioco

Nonostante il mutamento di umore sui mercati, con lo spread sceso in area 140-150 punti, il grande problema italiano del debito pubblico resta immutato e ormai si attesta intorno a quota 2.100 miliardi di euro. L’economia cresce a stento (quest’anno il Pil non dovrebbe andare oltre il +0,6 rispetto al 2014), per cui il rapporto debito/Pil non fa progressi, anzi paga il conto dei prestiti fatti dall’Italia per salvare la Grecia e la Spagna e quest’anno dovrebbe raggiungere il massimo storico del 135%.

In questo contesto, collocare sul mercato quote azionarie dello Stato per tre, quattro, massimo cinque miliardi di euro non può certo bastare ad abbassare in maniera significativa questo rapporto. Piuttosto, l’obiettivo sembra quello di approfittare dell’incredibile liquidità in circolo sui mercati per attirare un po’ di investimenti stranieri nel nostro Paesi, approfittando anche del fatto che, dopo sette anni di recessione, i prezzi delle aziende si sono ridotti sensibilmente.

Di contro c’è il fatto che Fincantieri, Poste, Eni ed Enel sono tra le aziende più grandi del Paese in termini di occupati e una discesa del controllo statale vorrebbe dire una rinuncia a controllare le decisioni del management. Un rischio che evidentemente si è disposti a correre pur di provare ad evitare che nuove crisi di sfiducia investano il Paese.