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L’euro del Sud ci salverà?

Sono giornate intense a livello comunitario tra voci, smentite e trattative sottobanco. Alla vigilia delle elezioni in Grecia, il cui esito inciderà sulla permanenza o meno del Paese nella moneta unica, il cancelliere tedesco Angela Merkel ha aperto alla possibilità di una maggiore unione politica nell'Eurozona. Intanto, però, si valutano scenari alternativi e torna a prendere quota l'idea di una divisione dell'euro, con una moneta a rappresentare le economie forti del Centro e Nord del Vecchio Continente e una del Mediterraneo.

Un vecchio progetto che torna in auge

L'idea di creare un euro franco-tedesco opposto a quello rappresentativo dei Paesi del Sud del Continente non è nuova. Il Financial Times Deutschland aveva lanciato l'idea in tono scherzoso già due anni fa, indicando la data del distacco (il 2015) e il nome della moneta meridionale ("Silvio", a indicare l'allora premier italiano Berlusconi). Di fatto, ne era nato un dibattito tra economisti e alcuni avevano sostenuto apertamente l'ipotesi, fatto salvo il nome, per il quale era stato proposto Seuro (crasi tra Sud ed euro) in opposizioni a Neuro.

I possibili vantagggi

Ora l'ipotesi torna in campo, insieme con un'analisi dei possibili benefici. L'area Seuro sarebbe lo specchio di economie (Italia, Spagna, Portogallo e Grecia) messe male e quindi, verosimilmente, registrerebbe un'immediata svalutazione. L'opposto varrebbe per l'area Neuro, così i Paesi del Mediterraneo potrebbero recuperare competitività sul fronte dell'export a danno di Francia e Germania (oltre che Belgio, Finlandia, Lussemburgo, tra gli altri) e si avrebbe un riequilibrio dei bilanci. Insomma, qualcosa di simile a quanto accadeva prima della moneta unica, con la lira, il franco francese e la dracma. Chi sostiene questa tesi, vede vantaggi anche per l'area Neuro: la perdita della zavorra rappresentata dai Paesi in difficoltà, che impone sacrifici anche a Paesi che non ne avrebbero bisogno. Per altro, una soluzione simile eviterebbe il ritorno alle monete nazionali, salvaguardando almeno in parte l'obiettivo di convergenza europeo.

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I problemi sul tappeto

La fattibilità di un simile progetto resta, comunque, molto bassa. Intanto perché l'Italia — che, nonostante le difficoltà, resta la terza economia continentale e l'ottava a livello mondiale e si trova in difficoltà per lo stock di debito pubblico accumulato dei decenni - dovrebbe accettare di condividere la moneta (e, quindi, i destini) di Paesi ben più deboli come Grecia e Spagna, penalizzati rispettivamente dai recenti trucchi sui conti pubblici e da una crisi strutturale dell'immobiliare e del bancario. Poi perché l'ipotetico euro dei poveri rischierebbe di essere travolto dal clima di sfiducia che si respira sui mercati (per altro già evidente, ma finora frenato dalla presenza di economie forti nella moneta unica). Se i Paesi del Mediterraneo crollassero, la stessa Germania sarebbe trascinata nel baratro, considerato che l'Italia è tra i suoi principali partner commerciali. Infine ci sono ragioni politiche che si oppongono a questa ipotesi: quando è stato concepito, il progetto europeo non prevedeva distinzioni tra economie deboli e forti. Introdurre questo principio, vorrebbe dire tradire quello spirito.