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La Cina si apre ai mercati mondiali: cosa ci aspetta?

"Un evento storico". "Finalmente un segnale chiaro di apertura della Cina ai mercati mondiali". Gli analisti hanno accolto con dichiarazioni di questo tenore l'annuncio con cui le autorità di Pechino hanno deciso di raddoppiare dallo 0,5 all'1% la banda di oscillazione dello yuan rispetto al dollaro. Una decisione presa in un momento delicato per l'economia mondiale e proprio mentre la stessa Cina mostra i primi segnali di rallentamento della crescita. Come cambieranno gli equilibri mondiali e quale impatto avrà questa apertura sulle nostre vite quotidiane?

Ottimismo nel medio termine, ma prudenza nel breve

In finanza i numeri spesso smentiscono le previsioni, per cui è il caso di partire dalla reazione dei mercati. I primi due giorni post-annuncio sono stati caratterizzati da un leggero indebolimento della valuta cinese rispetto a quella statunitense. Considerato che tutti gli analisti concordano nel vedere uno yuan al rialzo senza più il controllo della Banca Centrale locale, la notizia ha sorpreso. Anche se la notizia di un allentamento della stretta governativa era nell'aria da tempo e questo calo potrebbe essere il classico esempio in cui si è comprato sui rumors e si vende sulla notizia. Del resto, da Société Générale a Credit Suisse, a Rabobank, tutti gli analisti occidentali scommettono su un rialzo dello yuan nel medio periodo, fino a prospettare il punto di equilibrio in una rivalutazione di circa il 20% rispetto a oggi.

Perché ora?

La tempistica scelta da Pechino per la svolta non è casuale: la notizia della scorsa settimana di un rallentamento della crescita cinese — l'8,1% nel primo trimestre, una cifra ragguardevole per gli standard occidentali, ma il livello più basso degli ultimi tre anni per il Dragone — ha mandato in tilt i listini di tutto il mondo, indicando che la corsa del Paese comincia a mostrare qualche segnale di stanchezza. Insomma, la situazione ideale per tenere la mano alla comunità finanziaria internazionale. Per altro, lo scorso anno il surplus commerciale della Cina è risultato pari al 4%, la metà rispetto a due anni, prima per cui si avvia verso valori ritenuti normali.

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C'è poi la variabile inflazionistica. Con una moneta più forte, scende il prezzo dei beni importati e questo offre una boccata d'ossigeno ai consumatori. Oltre a tendere una mano ai Paesi occidentali, a caccia di nuovi consumatori nelle economie emergenti, a fronte della stagnazione interna, e che dal rafforzamento dello yuan ricaverebbero una crescita di competitività per i propri prodotti (calando il differenziale di prezzo rispetto a quelli cinesi). A cominciare dall'Italia, interessata a quel Paese come ha dimostrato la recente visita in Cina del premier Monti.

La nuova valuta globale?

Nei giorni scorsi, il direttore generale del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, ha detto che lo yuan, con una maggiore apertura al mercato, potrebbe diventare una valuta di riserva globale. Una prospettiva che, tuttavia, non appare dietro l'angolo considerato che le autorità di Pechino hanno sì allentato il controllo sulla fluttuazione della loro valuta (che già nell'ultimo anno si è apprezzata del 5% rispetto al dollaro), ma non l'hanno certo resa pienamente convertibile per evitare di essere investiti da possibili tensioni incontrollabili. Un fatto è, comunque, certo: la storia insegna (a cominciare dalla crisi degli anni Trenta) che i Paesi che tendono a chiudersi nel loro guscio, tendono poi a implodere. E, se lo facesse la "fabbrica del mondo", il principale produttore di materie prime, sarebbe un disastro per tutti.