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S&P sotto accusa: festa finita per le agenzie di rating?

La causa intentata dall’amministrazione Obama contro Standard & Poor’s potrebbe far vacillare lo strapotere acquisito sul mercato dalle grandi agenzie di rating, capaci - con i loro giudizi - di produrre violente oscillazioni dei prezzi. E’ la sensazione diffusa tra gli addetti ai lavori, anche se non manca chi fa notare l’insuccesso di passate iniziative giudiziarie nei loro confronti.

La causa

Partendo dalla cronaca, il dipartimento di Giustizia americano ha deciso di portare in tribunale Standard & Poor's Rating Services, contestandole di aver ignorato i propri standard nell’assegnare valutazioni troppo positive a bond collegati a mutui, che hanno poi scatenato la crisi finanziaria. Un’accusa pesantissima perché mette in discussione la trasparenza del lavoro condotto dall’agenzia di rating, che potrebbe essere stata sacrificata pur di corteggiare le banche d’investimento che orchestravano le emissioni. Contestazioni respinte al mittente dalla società, che ha parlato di causa “senza merito legale”, annunciando battaglia “contro queste accuse arbitrarie”.

Il potere delle agenzie di rating

La storia delle agenzie di rating prende il via nel 1909, quando John Moody diventa il primo analista finanziario assegnando voti alle obbligazioni emesse dalle compagnie ferroviarie degli Stati Uniti. Una pratica diretta ad aiutare gli investitori nelle scelte, in modo da ridurre i rischi. Il successo è immediato e nei decenni successivi il modello si estende a tutte le emissioni, decretando un dominio di tre big internazionali: Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch. Il loro potere trae origine nella credibilità che si sono costruiti tra gli addetti ai lavori e nelle regole adottate da alcuni, grandi investitori internazionali (come i fondi pensione), che non possono acquistare titoli al di sotto di un certo voto. Così, se un titolo viene declassato da un’agenzia di rating, immediatamente scatta la corsa a vendere i titoli, provocando così effetti a catena, che rischiano di mandare gambe all’aria l’emittente, ben oltre i propri demeriti.

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I conflitti di interessi

Negli ultimi anni si sono addensate molte ombre sulle “tre sorelle del rating”, soprattutto per la loro incapacità di valutare i rischi: per fare un esempio, Lehman Brothers godeva di un giudizio di elevata affidabilità fino alla vigilia del crack.

Più che di incapacità, sono state accusate di dolo da alcuni osservatori, considerato che nel settore privato le agenzie non lavorano gratis, ma si fanno remunerare dalle stesse società che emettono i titoli. Facile, dunque, che si ceda alla tentazione di esprimere un giudizio di favore per mantenere il rapporto di collaborazione a lungo.

I precedenti

La causa intentata negli Stati Uniti potrebbe costituire un elemento di rottura per il dominio indiscusso delle agenzie di rating, agendo come deterrente per eventuali, futuri abusi nel loro operare. Questo, almeno, è quello che si augurano in tanti. Anche se non manca chi fa notare l’insuccesso delle precedenti iniziative giudiziarie: lo scorso anno si era parlato con grande enfasi di un’indagine condotta dallo stesso Dipartimento di giustizia americano sui rating relativi ai bond, ma poi si è persa traccia della vicenda. Così come Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch sono finora uscite indenni, a differenza delle grandi banche d’affari, dalle cause civili condotte in diversi Paesi dopo il crollo dei mercati finanziari. Il tutto mentre si attende ancora una normativa internazionale in grado di salvaguardare la funzione (indubbiamente positiva delle agenzie di rating), prevenendone gli abusi. Se ne discute da tempo, ma finora non si è arrivati ad alcuna decisione.