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Qual è il vero stato di salute della Cina?

Grande malato dell'economia mondiale o di nuovo locomotiva della crescita? Sulla Cina le analisi degli addetti ai lavori si sprecano, e mai come in questo caso prendono direzioni spesso molto distanti tra loro. Così, a pochi giorni dal congresso del Partito Comunista Cinese (8 novembre, due giorni dopo le presidenziali negli Usa), chiamato a deliberare sulla nuova generazione di leader del colosso asiatico, può essere utile porre un punto fermo sulla transazione in corso nel Paese.

Hard o soft landing?

Dato per scontato un rallentamento della crescita dopo anni di progresso a due cifre percentuale, il dibattito tra gli analisti riguarda da mesi l'intensità della frenata: a lungo è sembrata prevalere l'ipotesi di un hard landing, ma i dati degli ultimi giorni forniscono qualche spiraglio positivo. A ottobre la produzione manifatturiera è salita dopo due mesi di calo, con l'indice di settore che è passato da 49,2 a 50,2 punti (a 50 punti è fissata la linea divisoria tra forte crescita e rallentamento).

Nel terzo trimestre il pil cinese è cresciuto del 7,6%, contro il +6% del primo semestre e le previsioni per l'intero 2012 propendono per un progresso del 7,5%. Per Ubs i timori di frenata sono ormai alle spalle e il 2013 andrà anche meglio, con l'indicatore della ricchezza in crescita del 7,8%. In questa direzione sembrano andare anche le quotazioni dello yuan, che ha da poco toccato i massimi contro il dollaro da 19 anni a questa parte, segnale di forza dell'economia cinese.

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I fattori di preoccupazione

Tuttavia, questo esito non è affatto scontato: l'economia cinese resta fortemente dipendente dall'export, che a sua volta è legato all'andamento delle economie occidentali. Se queste ultime continueranno a soffrire, inevitabilmente chiederanno meno prodotti cinesi. Da oltre un anno, il partito di potere sta spingendo per favorire una transazione dell'economia verso un modello più sbilanciato sui consumi interni, ma non si tratta di un processo facile, né capace di fornire risultati a breve.

Per altro, il Paese asiatico deve fronteggiare nuovi problemi, a cominciare dall'aumento dei salari medi, che rischiano di far impennare l'inflazione. Uno scenario di questo tipo potrebbe frenare la Banca centrale di Pechino, che negli ultimi mesi ha tenuto un atteggiamento espansivo proprio per sostenere l'economia. Da non trascurare anche le tensioni geopolitiche con il Giappone, che rischiano di limitare le relazioni tra i due Stati.

La guerra di potere

Tra pochi giorni, come detto, saranno in carica i nuovi vertici del Partito Comunista, ma questo non apre automaticamente a un periodo di stabilità. Il nuovo leader sarà il 59enne Xi Jinping, che nel percorso di avvicinamento al potere si è fatto molti nemici. Bo Xilai, che guidava il partito a Chongqin e fino all'estate era considerato il favorito, è finito nella polvere per la condanna di omicidio inflitta alla moglie e le accuse di arricchimento personale. Il premier uscente Wen Jiabao è stato investito nei giorni scorsi da un'inchiesta giornalistica del New York Times che ha rivelato come la sua famiglia si sia arricchita negli ultimi 20 anni all'ombra del potere, accumulando una fortuna stimata in 2,7 miliardi di dollari. Quanto basta per attendersi nuove tensioni.

Scenario in rosa per i cassettisti

Se le turbolenze non sono escluse nel breve periodo, gli analisti concordano sulle prospettive di lungo periodo del gigante asiatico: il Pil è destinato a passare da 6 a 11 trilioni di dollari entro il 2030, con i privati che vedranno incrementare sensibilmente il loro potere d'acquisto e lo Stato che continuerà a ossigenare l'economia grazie a una bassa esposizione debitoria. Quanto basta per tranquillizzare chi investe sul Paese con una logica da cassettista.