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Salario di produttività: 1,6 miliardi a rischio per i lavoratori

Una battaglia di principio (anzi di potere secondo alcuni analisti) che mettere a rischio 1,6 miliardi di euro a disposizione dei lavoratori per fronteggiare la crisi economica e l'aumento dell'imposizione fiscale. E' la posta in gioco nella partita tra imprese e sindacati in merito alla somma messa sul piatto dal Governo con la legge di stabilità.

Verso un nuovo modello contrattuale

L'Esecutivo spinge per potte fine agli automatismi salariali (compreso il legame tra inflazione e aumento degli stipendi) e la rigidità contrattuale, chiedendo alle parti sociali di mettersi d'accordo su come raggiungere l'obiettivo.

Le divergenze non si riscontrano solo tra le organizzazioni dei lavoratori e le rappresentanze aziendali, ma anche all'interno delle stesse categorie. Sul primo versante le imprese premono per ridurre il peso della contrattazione nazionale, ipotesi avversata dai sindacati perché questo porterebbe a una serie di sperequazioni tra lavoratori che svolgono mansioni simili, ma in realtà diverse per potere contrattuale e ubicazione geografica. In realtà, tra i rappresentanti dei lavoratori ci sono posizioni più concilianti verso un'intesa (in testa la Cisl) e altre più radicali (la Cgil). Ma anche tra le associazioni datoriali non c'è unanimità di vedute: Confindustria, quando parla di prevalenza del secondo livello contrattuale vorrebbe privilegiare gli accordi aziendali, mentre Rete Imprese e cooperative (che rappresentano le aziende più piccole), ma anche, Abi e Ania spingono invece per gli accordi territoriali.

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Una partita di potere

Fa specie constatare come ognuno vada per la propria strada in un momento così drammatico per l'economia italiana, e considerato anche il ruolo che la somma stanziata potrebbe giocare per rilanciare i consumi e riportare un pizzico di ottimismo. Ma la posta in gioco, sottolineano alcuni analisti indipendenti, è troppo alta per attendersi passi indietro netti delle parti perché vorrebbe dire rinunciare a una parte importante del proprio potere, che spesso si tramuta nella capacità di porre un veto agli interessi prevalenti. In tutto ciò non appare del tutto chiaro nemmeno il ruolo del Governo, che aveva dato scadenze ferree per un accordo, ma una volta superate, non è comunque intervenuto.

La posta in gioco

Fatto sta che la situazione rimane immobile anche se tutti continuano a riconoscere l'importanza di accelerare sulla produttività, considerato che l'Italia negli ultimi dieci anni (dait Eurostat) ha visto crescere questo indicatore solo dell'1,4%, contro il 17% della Germania (che, non a caso, è la locomotiva europea) e il 13% della Francia. Le cause? Da un modello organizzativo non adatto all'evoluzione dei mercati alla farraginosità dei contratti di lavoro, dall'inefficienza delle infrastrutture ai tempi lunghi delle cause di lavoro. Il risultato è che le multinazionali scelgono di andare altrove a investire, e anche molte italiane chiudono i battenti per riaprire oltreconfine. Con il risultato di meno occupazione e meno tasse pagate a generare una spirale dalla quale è difficile uscire.