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Le lobby del parlamento italiano

«Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione». Così recita l’articolo 67 della Costituzione. Troppo spesso finora è invece accaduto che deputati e senatori abbiano disatteso questo principio, trasformandosi in paladini di interessi di specifiche categorie, di lobby pubbliche e private, di corporazioni e caste, a detrimento dell’interesse generale, dell’interesse di tutti i cittadini e in violazione di quel principio di eguaglianza che esclude privilegi e leggi ad hoc e costituisce l’ossatura di un sistema democratico saldo.

La cartina al tornasole di questa deriva sono le 63mila norme di deroga del nostro ordinamento. Leggine di favore, come le definisce il costituzionalista Michele Ainis nel suo ultimo saggio intitolato appunto “Privilegium”, una selva intricata, difficile per i profani da decifrare, dentro la quale si nasconde un bottino di opportunità e vantaggi, costruito su misura per i vari potentati del Belpaese.

Dagli ordini professionali alle banche, dai tassisti agli agricoltori, dai petrolieri ai notai, agli avvocati, ai giornalisti, agli editori, ciascuno fa il suo gioco, troppo spesso a svantaggio della collettività, che paga alti costi per questo sistema dilagante, che si traduce quasi sempre in più tasse, meno benefici e approfondimento del divario tra ricchi e poveri.

La storia passata ma anche recente delle ultime legislature è ricca di episodi che confermano il potere di influenza che continuano a esercitare in Parlamento i gruppi di interesse, attraverso deputati e senatori “amici”, tanto più che in Italia, diversamente da quanto accade in altri Paesi del mondo, non esiste nessun regolamento sull’attività dei lobbisti. Così a Montecitorio e a Palazzo Madama hanno libertà di presenza e movimento non solo i volti noti delle relazioni esterne di grandi aziende pubbliche o private, dall’Enel all’Eni a Finmeccanica, a Telecom, ma anche personaggi meno conosciuti, che operano dietro le quinte e che, a discrezione del collegio dei Questori, o dietro invito dei singoli parlamentari, riescono a ottenere il pass di ingresso permanente.
E se ai big basta una telefonata per cambiare le sorti di una legge, gli altri, la fauna minore, i cosiddetti sottobraccisti, devono essere sempre presenti e fino al decreto sulle liberalizzazioni del gennaio 2012 erano soliti piazzarsi davanti alle porte delle commissioni pronti a dare l’assalto a parlamentari e assistenti parlamentari. Poi i presidenti di Camera e Senato hanno deciso di confinarli in una sorta di recinto, una stanza a loro riservata. Ed è cominciata una nuova era.

Ma quali sono le lobby più potenti, quelle che in questi anni sono riuscite a portare a casa i risultati migliori?
In testa alla lista ci sono sicuramente i farmacisti, casta emergente della XVI legislatura – iniziata il 29 aprile 2008 e conclusasi il 22 dicembre scorso – che aveva già tirato fuori le unghie nel 2006 contro il decreto Bersani, e che, prevedendo nuove incursioni, a quest’ultimo giro ha tentato di giocare d’anticipo, facendo quadrato intorno ai propri parlamentari: Rocco Crimi (Pdl), Chiara Moroni (Pdl e poi Futuro e Libertà, ora Lista Monti), eletti alla Camera; Valerio Carrara (Pdl), Fabrizio Di Stefano (Pdl) e Luigi D’Ambrosio Lettieri (Pdl e Presidente dell’Ordine dei Farmacisti della provincia di Bari nonché componente del Comitato centrale della federazione) eletti al Senato. Una squadra di punta, che ha difeso gli interessi della categoria con tutte le sue forze contro l’onda d’urto delle liberalizzazioni, sia in occasione del decreto “Salva Italia” (4 dicembre 2011) che in occasione del decreto “Cresci Italia” di inizio 2012. Il risultato: “danni limitati” per la lobby e sistema sotto controllo, con alcuni inevitabili compromessi: nuove farmacie certo, ma “contingentate”, e nuove regole di vendita dei prodotti.

Anche i tassisti in quest’ultima legislatura hanno confermato di essere una lobby potente. Il governo Monti, che voleva toccare le licenze, è stato subito stoppato: così è rimasto ai sindaci il potere di decidere il numero di auto pubbliche, sia pure con il preventivo parere dell’Autorità per i trasporti, di cui comunque si sono perse le tracce. Contano sulla loro capacità di fare fronte compatto quando è necessario e paralizzare le città, ma hanno avuto anche una buona sponda in Parlamento, dove, se non sono riusciti nel 2008 a eleggere un loro rappresentante, hanno potuto contare su ex An, vicini al loro paladino, il sindaco di Roma Gianni Alemanno, e sulla Lega Nord.

Ma a pari merito in graduatoria con farmacisti e tassisti c’è senz’altro la lobby degli avvocati, categoria che nell’ultima tornata parlamentare aveva ben 133 rappresentanti, che hanno dichiarato guerra senza quartiere al progetto del governo di cancellazione degli ordini professionali, ottenendo di affidare la riforma agli ordini stessi, ma sono anche riusciti a varare una nuova disciplina dell’ordinamento forense, cucita su misura dalla commissione giustizia della Camera.

Non sono da meno le banche, che hanno saputo ben custodire e potenziare i loro privilegi. E che sono state protagoniste in Parlamento, nel marzo 2012, di un’ennesima battaglia dalla quale sono uscite trionfanti. È sparito dal maxiemendamento al Decreto sulle liberalizzazioni l’articolo che prevedeva la cancellazione delle commissioni.

Anche i petrolieri sono una imbattibile aristocrazia. Nel 2006 l’Autorità per l’energia e il gas aveva provato a tagliare gli incentivi pubblici per le centrali private a petrolio. Ma il Tar della Lombardia, al quale avevano presentato ricorso le grandi famiglie italiane dell’oro nero, riuscì a rimettere subito tutto a posto. Un altro tentativo senza esiti lo fece il governo Prodi con la Finanziaria del 2007. Poi nel 2008 ci fu la Robin Tax, riveduta, corretta ed estesa nel 2011. In compenso, però, i petrolieri nel 2012 sono riusciti a mantenere il vincolo di fornitura esclusiva sui carburanti, che il Decreto Cresci Italia voleva abbattere. La fine dell’esclusiva è rimasta infatti solo per gli impianti a marchio di una compagnia ma già di proprietà del gestore. Quanti sono? Appena il 2% del totale. E non solo. Sono rimasti intatti i privilegi sulle trivellazioni. Da questo punto di vista, secondo il Wwf, l’Italia sarebbe «un vero e proprio paradiso fiscale»: le royalties, compensazioni ambientali, sono infatti le più basse del mondo.

Le caste, insomma, sanno sempre come muoversi. Nella grande arena dell’ultima legislatura in tante sono state protagoniste più o meno sotto i riflettori: le lobby del gioco d’azzardo, delle multinazionali del fumo, che sono riuscite persino a far passare l’idea che la sigaretta a vapore sia quasi più nociva della classica bionda, le lobby delle patatine fritte, delle merendine, dei softdrink, delle api, delle autostrade e dei trasporti. Per non parlare della folta e potente lobby di Dio, che conta tra le sue fila non solo clero cattolico, ma anche ebrei, protestanti, valdesi, islamici, sempre pronti a battersi per la propria causa divina. Ma tra tutte sicuramente quella che ha centrato il suo obiettivo è la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, meglio nota come chiesa dei mormoni, la cui immagine è sicuramente cresciuta negli ultimi tempi grazie all’ascesa negli Stati Uniti di un loro celebre adepto, Mitt Romney, sfidante di Barack Obama alle presidenziali, e al successo planetario della saga dei vampiri Twilight, firmata da un’altra loro consorella, Stephenie Meyer. Lo scorso luglio infatti è diventata legge l’intesa che regola i rapporti con lo Stato italiano e dalla quale discendono una serie di privilegi, dall’Imu (per loro vale lo stesso trattamento che spetta al Vaticano e ad altri culti riconosciuti) all’8 per mille, al quale però i mormoni hanno rinunciato. A curare i loro interessi in Parlamento sarebbe stata una società di pubbliche relazioni americana. Ma poi, l’ultima parola, quella decisiva, sarebbe arrivata dall’alto… dei cieli.