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2021, il picco del carbone. In barba al patto sul clima

Aerial view of  a back lit Bucket Wheel Excavators working in a lignite surface mine at sunset. (Photo: Schroptschop via Getty Images)
Aerial view of a back lit Bucket Wheel Excavators working in a lignite surface mine at sunset. (Photo: Schroptschop via Getty Images)

(di Carlo Luciano)

L’obiettivo ribadito il mese scorso alla conferenza Onu di Glasgow è arrivare alla decarbonizzazione entro il 2050: un salto epocale da compiere nell’arco di una generazione. Ma lo shock della pandemia non aiuta. Per accelerare la ripresa produttiva dopo il lockdown, c’è chi ha scelto il carbone. Il più inquinante dei combustibili fossili segnerà un nuovo record annuale nel 2021, tornando sopra i livelli del 2019 e minando gli sforzi per ridurre le emissioni di gas serra. L’allarme viene oggi dall’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) con il rapporto Coal 2021

Dopo essere diminuita nel 2019 e nel 2020, si prevede che la produzione globale di energia dal carbone aumenterà del 9% nel 2021 fino a raggiungere il massimo storico di 10.350 terawattora. Il rimbalzo è guidato dalla rapida ripresa economica di quest’anno, che ha fatto crescere la domanda di elettricità troppo velocemente rispetto al ritmo di sostituzione di centrali fossili con centrali alimentate da rinnovabili. E il forte aumento dei prezzi del metano ha reso economicamente più competitivo il carbone.

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La domanda globale complessiva di carbone – dalla produzione di elettricità alle acciaierie - crescerà del 6% nel 2021. Ancora al di sotto dei record raggiunti nel 2013 e nel 2014. Ma – teme la Iea – con questo trend, senza un’azione politica rapida e forte, il carbone potrebbe raggiungere il massimo storico già nel 2022 e rimanere a quel livello per i due anni successivi.

“Il carbone è la più grande fonte di emissioni globali di carbonio e il livello raggiunto quest’anno è un segnale preoccupante: rivela quanto il mondo sia lontano dai suoi sforzi per ridurre le emissioni di gas serra verso lo zero netto”, ha affermato il direttore dell’Iea, Fatih Birol. “Senza azioni forti e immediate da parte dei governi per affrontare le emissioni di carbone - in modo equo, economico e sicuro per le persone interessate - avremo poche possibilità, o nessuna, di limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi”.

Il balzo del carbone ha una responsabilità precisa. E’ Pechino, responsabile di oltre la metà delle emissioni globale prodotte da questo combustibile fossile, ad avere accelerato in modo molto spinto. Si prevede che in Cina l’energia prodotta usando carbone aumenterà del 9% nel 2021. Ma in termini percentuali la crescita dell’uso del carbone per la produzione elettrica è ancora più netta in altre aree del mondo. In India si prevede un +12%. Negli Stati Uniti e nell’Unione Europea quasi un +20% (ma si stima che l’uso del carbone in questi due mercati tornerà a diminuire il prossimo anno a causa della lenta crescita della domanda di elettricità e della rapida espansione delle energie rinnovabili).

Per capire meglio il trend, questi numeri vanno incrociati con l’andamento della produzione elettrica da carbone durante il primo anno di pandemia. Nel 2020, la domanda globale di carbone è diminuita del 4,4% ma con disparità regionali molto grandi. La domanda è cresciuta dell′1% in Cina, dove l’economia ha iniziato a riprendersi molto prima che altrove, mentre è diminuita di quasi il 20% negli Stati Uniti e nell’Unione Europea e dell′8% in India e Sud Africa.

“L’Asia domina il mercato globale del carbone, con Cina e India che rappresentano i due terzi della domanda complessiva. Queste due economie, con una popolazione complessiva di quasi 3 miliardi di persone, sono la chiave per la futura domanda di carbone”, ha dichiarato Keisuke Sadamori, direttore dei mercati energetici e della sicurezza presso l’Agenzia internazionale dell’energia.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.