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300 morti per Covid al Pio Albergo Trivulzio, pm chiede di archiviare

MILAN, ITALY - MAY 22: Relatives of elderly people who died in the Pio Albergo Trivulzio residential home demonstrate against alleged failures surrounding the fatalities on May 22, 2020 in Milan, Italy. Restaurants, bars, cafes, hairdressers and other shops have reopened across Italy, subject to social distancing measures, after more than two months of a nationwide lockdown meant to curb the spread of Covid-19. (Photo by Francesco Prandoni/Getty Images) (Photo: Francesco Prandoni via Getty Images)

È vero che al Pio Albergo Trivulzio di Milano ci fu una “sottovalutazione iniziale del rischio” dei contagi Covid e una “carenza oggettiva” di interventi “per evitare il diffondersi dell’epidemia”. Come è accertato il fatto che la direzione si oppose “nei primi giorni di marzo” del 2020 “all’utilizzo di mascherine”. Allo stesso tempo, però, in quel periodo i criteri di “tracciamento e contenimento” del virus, che era sconosciuto, non erano stati ancora nemmeno “adeguatamente introdotti, sviluppati e articolati dalle disposizioni delle autorità sanitarie nazionali e regionali” e c’era “una drammatica insufficienza” di “Dpi e tamponi”. E proprio in un quadro del genere dal punto di vista penale ciò che manca sono le prove di un “nesso causale” fra le condotte dei dirigenti della struttura e le morti.

È con queste motivazioni che la Procura di Milano ha deciso di chiedere l’archiviazione dell’inchiesta sulle centinaia di decessi nella prima ondata del Coronavirus nella storica ‘Baggina’ milanese, uno degli istituti di cui più si era parlato in quelle settimane quando la pandemia mieteva tantissime vittime nelle Rsa di tutt’Italia e non solo. Anche perché era già noto, suo malgrado, sin dal ’92 quando l’arresto del presidente Mario Chiesa aveva dato l’avvio a Tangentopoli.
Ora spetterà ad un gip decidere se accogliere l’istanza, firmata dai pm Clerici e De Tommasi, per la posizione dell’ex dg Giuseppe Calicchio, difeso dall’avvocato Vinicio Nardo e che era finito indagato per omicidio colposo ed epidemia colposa. E per lo stesso ente iscritto per la legge sulla responsabilità amministrativa. Ci sarà un’udienza perché è scontato che i familiari degli anziani morti presenteranno opposizione per chiedere altre indagini o l’imputazione coatta.

“La decisione della Procura - ha spiegato Alessandro Azzoni, presidente dell’Associazione Felicita - ci trova totalmente amareggiati, ma non sorpresi”. Per i familiari la loro domanda “di verità e giustizia” è stata “elusa dalla procura (e non solo)” e c’è stata “una narrazione volta a giustificare e a rendere accettabile un’immunità giudiziaria generale” in nome “del carattere straordinario, incontrollabile e imprevedibile del fenomeno pandemico”.

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Nell’inchiesta, passata pure per una maxi consulenza su oltre 400 cartelle cliniche di morti e ammalati, non è stata “acquisita - scrivono i pm - alcuna evidenza di condotte colpose o comunque irregolari, causalmente rilevanti nei singoli decessi, in ordine all’assistenza prestata”. Anzi “con riguardo ai singoli casi, neppure sono state accertate evidenze di carenze specifiche, diverse dalle criticità generali” riguardo le “misure protettive o di contenimento” del Covid “che possono con verosimiglianza avere inciso sul contagio”. Certo, poi, le chat acquisite dimostrano che i vertici dell’ente volevano evitare “allarmismi” e “occultare” più che “risolvere le difficoltà”. Calicchio in un messaggio del 16 marzo 2020, come si legge nelle 30 pagine dell’istanza, scriveva: “dopo gli 80/85 anni a che pro fare il tampone? Se lo vuoi paghi o assicurazione. A cose serve sapere se è Covid?”.

Allo stesso tempo, però, “non è possibile - scrive la Procura - dire quanto abbia inciso nella diffusione della malattia, l’inserimento di pazienti provenienti da ospedali esterni (...) né l’ordine impartito in alcuni casi di non indossare mascherine”. E pure “l’impossibilità di tracciare con ragionevole certezza il percorso del virus” nei reparti è “un ostacolo insuperabile” per la “dimostrazione rigorosa e specifica del nesso causale”. Anche le indagini su altre rsa milanesi (come quelle aperte da altre Procure) si avviano a simili richieste di archiviazione.

Preso atto della richiesta di archiviazione “rimangono il profondo disgusto e il disprezzo per il proditorio attacco mediatico e politico che abbiamo subito per mesi e la profonda riprovazione per chi ha utilizzato la sofferenza e i morti di quel drammatico momento per biechi fini politici”, scrive su Facebook l’ex assessore al Welfare della Regione Lombardia, Giulio Gallera. “Noi, sin dal primo giorno, abbiamo sempre dato il massimo per affrontare lo ‘tsunami Coronavirus’ e salvare il maggior numero possibile di vite umane. Il tempo - prosegue l’ex assessore - fortunatamente è galantuomo”.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.