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546mila persone con il Reddito hanno firmato un contratto, ma sono "lavoretti"

An employee of a tax service center (Centro di assistenza fiscale, CAF) assists an applicant for Italy's new Citizen's Income (Reddito di Cittadinanza) in Rome on March 6, 2019. - Italys governing Five Star Movement (M5S) launched on March 6 its flagship Citizens' Income scheme, with those elligible starting to send applications to access the benefit, in a first round which will last until March 31st. The scheme is open to low earners and jobseekers with a household income of below 9,360 euros per year who sign a form declaring themselves immediately available for work. (Photo by Tiziana FABI / AFP)        (Photo credit should read TIZIANA FABI/AFP via Getty Images) (Photo: TIZIANA FABI via Getty Images)

Ma alla fine chi percepisce il reddito di cittadinanza sta trovando un lavoro? La domanda impatta sulla grande questione sollevata fin dall’inizio dalla misura voluta dai 5 stelle ed entrata in vigore a marzo del 2019. Prova a rispondere l’Anpal, l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro: in due anni e mezzo sono stati 546mila quelli che hanno trovato una nuova occupazione. Sono il 30,2% del totale, dove il totale è costituito dagli 1,8 milioni di beneficiari che sono stati indirizzati ai Centri per l’impiego per la presa in carico. Fa più fatica chi è più lontano dal mercato del lavoro, ma anche quelli che sono più vicini riscontrano difficoltà a intercettare un nuovo impiego, in proporzione alla distanza dall’ultima esperienza lavorativa.

Reddito di cittadinanza - lavoro (Photo: Anpal)
Reddito di cittadinanza - lavoro (Photo: Anpal)

Il rapporto tra chi prende il Rdc e il mondo del lavoro è più proficuo se si prendono in considerazione i dati aggregati. Sono oltre un milione e mezzo i posti di lavoro attivati, di cui 1,2 milioni nuovi, ma questi numeri tengono dentro tutti i movimenti, quindi più posti di lavoro riferiti alla stessa persona, che appunto è passata da un’occupazione ad un’altra, e anche il fatto che circa 328mila beneficiari avevano un lavoro quando hanno ricevuto la prima mensilità del sussidio.

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Torniamo ai posti di lavoro creati in misura, cioè ai nuovi rapporti attivati mentre si percepiva il sussidio. La maggior parte di chi ha trovato una nuova occupazione (45,9%) era vicino al mercato del lavoro, mentre solo una piccola quota (15,4%) di chi era più lontano è riuscito ad attivarsi nella ricerca e a intercettare un posto di lavoro. Chi ha avuto più fortuna sono stati gli uomini (37,9%) a fronte di un’incidenza che per le donne si è fermata al 23,2 per cento. Soprattutto cittadini stranieri, che rappresentano il 17,2% della platea presa in considerazione: sono loro a presentare una quota con nuova occupazione in misura più alta se confrontata ai soli beneficiari del reddito che hanno la cittadinanza italiana (36,8% contro 28,9%).

Sono gli over 50 a bucare meno il mercato del lavoro. Per le fasce di età fino a 50 anni, la quota di beneficiari del reddito di cittadinanza che hanno attivato nuovi rapporti di lavoro si attesta su valori uguali o superiori al 31 per cento. Scende al 24,3% per i 50-59enni e addirittura solo al 14,7% degli over 60. E i giovani? Dopo gli over 60 sono i più lontani dal mercato del lavoro. Eppure gli under 30 presentano la quota di nuovi occupati più elevata (20,9%), pari a un su cinque.

La ripartizione geografica dei dati non consegna invece dati inediti. È chi vive al Nord e al Centro ad aver occupato i nuovi posti di lavoro, con più di un beneficiario su tre: sono le Regioni del Nord-Est a presentare la quota maggiore, seguite da quelle del Nord-Ovest e del Centro. Mentre la Valle d’Aosta, il Friuli-Venezia Giulia e la provincia autonoma di Trento hanno valori vicini o superiori al 50%, la Campania e la Sicilia registrano percentuali rispettivamente del 22,5% e del 23,8 per cento.

Tutto merito dei centri per l’impiego? Innanzitutto va ricordato che non tutti i beneficiari del reddito di cittadinanza sono uguali nel senso che non tutti sono occupabili. Fuori dagli obblighi ci sono i minorenni, gli studenti, chi frequenta un corso di formazione, i pensionati o comunque gli over 65 e le persone con disabilità. Ai centri per l’impiego sono indirizzati chi ha perso un posto di lavoro negli ultimi due anni, chi ha beneficiato dell’indennità di disoccupazione negli ultimi dodici mesi, ancora chi ha un patto di servizio presso uno dei centri, chi appartiene a una famiglia con una persona che ha almeno una di queste caratteristiche. Dentro anche gli under 30, anche se il nucleo di appartenenza è indirizzato ai servizi sociali. Quest’ultimi assorbono le altre famiglie, chiamate a sottoscrivere il Patto per l’inclusione sociale. A differenza di chi viene indirizzato al centro per l’impiego, non è immediatamente occupabile.

Altra considerazione per valutare quanto è stato determinante il ruolo dei centri per l’impiego nel trovare un nuovo lavoro. La quota di beneficiari che sono stati presi in carico è ancora relativamente bassa, anche per via della pandemia che ha strozzato l’accesso e le attività degli stessi centri. L’analisi dell’Anpal isola gli individui che hanno sottoscritto un Patto per il lavoro durante la misura. La quota di beneficiari con almeno un rapporto di lavoro tra chi è stato preso in carico è del 3,18% a fronte del 29% registrato tra chi non ha sottoscritto alcun Patto di servizio durante l’erogazione del sussidio. In poche parole: la presa in carico comporta un aumento di circa il 10% della probabilità di trovare un’occupazione.

Ma che tipo di contratto hanno ottenuto i beneficiari del reddito di cittadinanza? Prendendo il dato aggregato degli 1,2 milioni di rapporti attivati, ben il 63,6% è a tempo determinato. Meno del 15%, invece, è a tempo indeterminato (compreso l’apprendistato). La natura precaria del lavoro trovato riflette l’andamento generale del mercato del lavoro nazionale.

Rapporti di lavoro avviati Rdc (Photo: Anpal)
Rapporti di lavoro avviati Rdc (Photo: Anpal)

Il reddito di cittadinanza è stato visto spesso come un disincentivo a trovare un lavoro. Ma i dati, spiega sempre l’Anpal, dicono che il sussidio non ha portato i beneficiari ad abbandonare la ricerca di un lavoro e, soprattutto, non sembra abbia alzato il salario a tal punto da portarli a rifiutare lavori a termine, anche se di brevissima durata. La quota di contratti non superiore ai tre mesi sfiora il 69% e, in particolare, più di un terzo non supera il mese. Ne viene fuori “un elevato livello di precarietà”, associato a periodi di occupazione brevi e molto brevi. La capacità di rimanere nel mondo del lavoro, quindi, è debole e c’è “una marcata difficoltà” a uscire da una condizione di povertà.

I posti di lavoro occupati dai beneficiari del Rdc rispondono a profili professionali bassi. Oltre il 41% dei rapporti attivati, infatti, richiede un basso livello di competenza, mentre solo il 4% skill di alto profilo. Si trova lavoro soprattutto nel settore del trasporto e del magazzinaggio, seguito da quello dell’alloggio e della ristorazione.

Settori lavoro Rdc (Photo: Anpal)
Settori lavoro Rdc (Photo: Anpal)

Cosa succede sul fronte del lavoro dopo sei mesi o un anno dal primo assegno ricevuto? All’ingresso il tasso di occupazione è poco inferiore al 18%, a sei mesi cresce fino a quasi il 23%, poi aumenta marginalmente a un anno portandosi appena sopra questa soglia. Ci sono differenze notevoli tra i beneficiari perché conta la condizione individuale di ingresso. Su una platea di 1,3 milioni di beneficiari (chi ha una distanza di almeno un anno tra la prima tranche di Rdc ricevuta e il 30 settembre di quest’anno), sono più di 711mila quelli che sono più distanti dal mercato del lavoro: i tassi di occupazione sono particolarmente bassi e sempre inferiori al valore medio. Una tendenza che conferma la difficoltà di entrare nel mercato da parte di chi ha poco familiarità con il lavoro, oltre ad avere un titolo di studio basso o appartenere a una famiglia in condizioni di forte disagio.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.