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All'estero e con successo: istruzioni per l'uso

Relativizzare la cultura di partenza è la via: i consigli di Francesca Prandstraller

Vivere all'estero - Guida per una relocation di successo

Italiani all'estero: ci vanno per lavoro, per studio, per seguire il partner che deve trasferirsi perché lavora in una multinazionale. La relocation fuori dai confini non è più un'eccezione per pochi, ma la solida realtà di migliaia di connazionali, che si ritrovano a confrontarsi con lo choc culturale del cambiamento. I mutati scenari economici li portano sempre più lontano, spesso in Asia o in grandi capitali dei Paesi emergenti. Le differenze culturali esistono, lo sappiamo, ma rischiano di rivelarsi particolarmente ostiche quando in ballo c'è molto di più del cibo e del body language: come rivelano le esperienze nel libro di Francesca Prandstraller "Vivere all'estero – Guida per una relocation di successo" (Egea 2014, 160 pagg., 16,50 euro, 9,90 e-pub), le sorprese maggiori arrivano in azienda, quando ci si trova a fronteggiare una diversa cultura della leadership o dell'organizzazione del tempo e dello spazio.

Prandstraller, docente all'Università Bocconi di Organizzazione e risorse umane, a sua volta è stata un'espatriata: al seguito del marito in missione all'estero ha vissuto tre anni a Washington DC. Nel primo capitolo del libro indica chiaramente cosa fare ancora prima di partire: informarsi su passaporto e visti, sulle tasse e sul sistema sanitario locale, sulla disponibilità di beni  e servizi, sulle modalità di importazione di animali domestici. Cosa sottovalutano gli italiani quando vanno all'estero, anche dal punto di vista logistico? Risponde Prandstraller: " Solitamente, quando si parte come expat, gli aspetti legati al sistema sanitario o a quello fiscale sono organizzati dall'azienda, che offre una serie di servizi. Quando si va all'estero da soli, invece, un fenomeno ormai abbastanza in crescita, si possono sottovalutare gli aspetti sanitari, fiscali, ma soprattutto quelli legati al livello di vita. Se vado all'estero e cerco lavoro è chiaro che verrò pagato in relazione al tenore di vita del Paese; è un problema da porsi specialmente nei paesi esotici e in quelli in cui a un costo della vita basso corrisponde una bassa retribuzione: non ci si può permettere una vita da nababbi se si va in Paesi dove la vita costa meno".

Chi espatria con un buon retroterra culturale e professionale si ambienta prima? " Solo in linea teorica. Sono andata in America come moglie di un espatriato, con tutti gli aiuti aziendali, dal punto di vista pratico, e con i benefit che le aziende mettono a disposizione dei lavoratori. Eppure, dal punto di vista "culturale" non ci è stato fornito nessun tipo di aiuto. Oggi le aziende preparano le persone di più dal punto di vista dell'adattamento, perché la difficoltà maggiore è trovare un equilibrio dentro una dimensione culturalmente nuova. Se all'andata puoi essere messo in difficoltà da un atteggiamento naive, al ritorno vivi la fase più difficile, un grosso impatto emotivo molto sottovalutato, sia dalle persone che dalle aziende".

Assunti e credenze, norme e valori,  comportamenti e antefatti:  se ogni cultura è un insieme di multilivelli, c'è molto da scavare per arrivare al cuore di una comprensione seria delle caratteristiche fondamentali di mondi diversi; e in ogni caso ci si deve preparare ben prima di partire. Spiega Prandstraller: "Ci sono modelli che consentono di visualizzare una prima lettura delle caratteristiche fondamentali dei principali modelli culturali: se vado in Oriente devo sapere che mi inserisco in una società di fondo collettivista, dove il valore dell'individuo come parte di un gruppo o di un clan è molto forte. Gli stereotipi sono un mezzo utile, che danno una visione di insieme a patto di non essere generalizzati. Certo, non tutti i tedeschi sono precisi. Ci vuole una buona flessibilità mentale e di approccio per riuscire a mettere in equilibrio i valori culturali di  origine con quelli del Paese di arrivo. C'è chi punta ad assimilarsi, chi rimane ancorato ai valori di partenza: in genere si cerca un equilibrio, una posizione scomoda che richiede continuamente una capacità di mantenere due punti di vista, ma che è una prospettiva da ricercare per chi non deve rimanere per sempre".

C'è un tempo  però per giudicare o meno riuscita un'integrazione all'estero? "E' un elemento molto soggettivo, e che dipende da una serie di fattori, compresa la conoscenza della lingua e il tipo di cultura in cui ci si va a inserire; non è facile fare una media generalizzata, dipende dalla distanza tra la cultura dell'individuo e quella ospite. Ho conosciuto persone capaci di inserirsi in culture ostiche, altre che in una dimensione più vicina alla loro non sono riuscite ad ambientarsi". Un bagno di relativismo culturale sembra essere la ricetta essenziale soprattutto per sposare al meglio i valori presenti sul posto di lavoro. Nel libro le storie non mancano: c'è il dirigente italiano di una multinazionale svedese che in Cina licenzia due dirigenti e che viene stigmatizzato dalla casa madre per mancanza di fairness coi dipendenti; la manager accusata dai capi giapponesi di essere troppo individualista e di aver portato via il lavoro ai colleghi; la sales manager che in Brasile riscopre il valore del tempo ma anche che il concetto di produzione ultimata non è proprio quello occidentale, ritrovandosi ad aspettare all'infinito commesse di produzione mai pronte.

Il modello aziendale anglosassone ha fatto danni? "Danni è una parola grossa; semplicemente quelli che noi consideriamo i principi universali del management non esistono; i modelli che ci provengono dal mondo anglosassone non sono universali ma soggetti a relativizzazione; le pratiche di buon management esistono ma poi devono essere adattate ai diversi contesti culturali, come quello asiatico ad esempio, dove conta molto il rispetto della gerarchia ma anche il mito culturale del salvare la faccia".

In ballo non c'è solo la leadership, ma anche temi come la gestione del tempo nel contesto del lavoro: "Viviamo una società dal tempo lineare e segmentabile, mentre altrove la concezione è circolare, più flessibile e sovrapponibile, policronica. Un aspetto che rimette in discussione molte cose, fra cui anche il rispetto della puntualità". Integrarsi, nel lavoro e nella società non è facile; trovare un equilibrio, tra sentimenti e ragione, non è semplice, anche sul fronte del privato: il partner che segue all'estero il compagno per motivi di lavoro si trova spesso a fronteggiare momenti difficili. Deve fare da sponda al compagno, inserire i figli nel nuovo contesto, se ci sono, non sentirsi inattivo.

Insomma, la coppia cosa rischia? "Il fenomeno è reciproco ma parliamo quasi sempre di mogli visto che la maggior parte di quelli che espatriano sono ancora uomini. E' un problema serio, perchè, a differenza del partner che va in ufficio, spesso le donne hanno a che fare con la società locale dal primo giorno, perché non hanno un posto di lavoro dove andare ma devono pur uscire di casa; devono gestire tutti quegli aspetti pratici, e non sempre possono lavorare, per mancanza di visti, di permessi di lavoro, di occasioni vere e proprie. Lo stress si può ripercuotere sulla coppia, generando tensioni: se la coppia quando parte non è solida, c'è una grossa possibilità che vada per aria".