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ANALISI - Intesa, svolta su gestione Npe in vista pressione regolatoria

di Paola Arosio e Gianluca Semeraro e Valentina Za

MILANO (Reuters) - In un contesto regolatorio sempre più attento al tema dei crediti deteriorati, che affligge soprattutto le banche italiane, anche gli istituti più virtuosi, come Intesa Sanpaolo, si muovono per ridurre il fardello in bilancio.

Così fonti vicine alla situazione e osservatori di mercato spiegano gli annunci di ieri sulla valorizzazione dell'attività di servicing dei crediti deteriorati e la vendita di pacchetti di npl, con l'avvio di trattative con la svedese Intrum Justitia.

Una mossa vista con una certa sorpresa dagli analisti dato che finora l'istituto guidato dal Ceo Carlo Messina sembrava aver puntato sulla gestione interna degli npe. Anche per questo alcune fonti parlano di una cessione solo parziale della piattaforma in capo a Capital Light Bank.

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"La Bce fa pressioni su tutti per gli npe, addirittura con i più bravi", spiega una delle fonti.

D'altra parte c'è chi fa notare che l'attività di gestione degli npe richiede molte risorse e la divisione di Intesa al lavoro sul tema, pur contando su circa 800 dipendenti, avrebbe bisogno di ulteriori risorse per svolgere al meglio il compito, anche in vista della possibilità di estendere l'attività di servicing ad altri soggetti, intenzione dichiarata di recente da Messina.

Da fine settembre 2015 Intesa ha ridotto lo stock di deteriorati lordi di 11 miliardi a 53,6 miliardi (4,5 miliardi soltanto nei primi nove mesi del 2017). La banca punta a un rapporto tra crediti deteriorati e impieghi dal 12,8% attuale al 10,5% a fine 2019. Già nell'ultima conference call sulla trimestrale Messina ha dichiarato che questo obiettivo può essere migliorato. L'occasione per l'annuncio del nuovo target sarà probabilmente il nuovo piano industriale, atteso a febbraio.

Due banchieri esperti di Npl osservano che la Bce punta a portare a lungo termine il rapporto Npe lordo-impieghi in Italia in linea con la media europea (che si attesta al 4,5%) e comunque al di sotto del 10%.

UniCredit e la più piccola Credito Valtellinese hanno già incorporato nei loro piani l'obiettivo di un rapporto deteriorati lordi/impieghi sotto 10%.

L'obiettivo, se esteso a tutti gli istituti italiani, apre la porta a sacrifici pesanti. Equita sim stima che per raggiungere un Npe ratio del 10% nel 2019 significa per le banche italiane la vendita di 50 miliardi di Npl accompagnata da perdite per circa 7 miliardi. Secondo il broker soltanto Intesa e UniCredit sono nella condizione di ridurre significativamente anche al di sotto del 10% il rapporto mantenendo una posizione di capitale solida.

A questo si aggiunge l'incognita della proposta formulata nell'autunno scorso dal responsabile della vigilanza Daniéle Nouy, il cosiddetto addendum, che prevede la copertura integrale dei crediti deteriorati non garantiti, maturati dall'1 gennaio, entro due anni e di quelli non garantiti entro sette. Proposta, al momento in stand-by, che ha sollevato non poche perplessità nel mondo bancario italiano perché ritenuta troppo penalizzante.

Intesa anticipa quindi eventuali strette regolatorie ma intende farlo soltanto alle sue condizioni, osserva una fonte vicina alla situazione. Nella nota diffusa ieri la banca ha specificato che le opzioni strategiche allo studio "non modificano l'impegno alla distribuzione di 3,4 miliardi di euro di dividendi cash per il 2017, che viene confermato".

Le cessioni, dunque, avverranno soltanto a valori di carico e non ci saranno svendite, osserva la fonte. A fine settembre la copertura dei deteriorati era al 49,5%: il 60,8% per le sofferenze, il 28,7% per le inadempienze probabili e il 19,4% per gli scaduti.

Secondo Carlo Tommaselli di Credit Suisse, Intesa potrebbe vendere gli npl a un prezzo non più basso del 30% del gross book value (in linea con il net book value), grazie all'utilizzo dell'Ifrs9 per aumentare la copertura e limitare l'impatto sul capitale.