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Armonizzazione dei sistemi contabili, il caso italiano

Più trasparenza per i bilanci della pa, lo chiede l'Ue: ma in Italia si rinnova il vecchio schema

Armonizzazione dei sistemi contabili, il caso italiano

Il tema non è dei più semplici, eppure, anche a livello europeo, è uno dei più centrali: dall'armonizzazione dei sistemi contabili delle amministrazioni pubbliche passa infatti una maggiore trasparenza dei dati relativi alla contabilità e un maggior coordinamento delle politiche fiscali dei paesi membri.  A livello nazionale, da una corretta rendicontazione, passa anche la spending review, tema sensibile nei Paesi dove la spesa pubblica è alta. Di fatto, lo chiede anche l'Europa, si tratterebbe di redigere dei principi contabili per le amministrazioni pubbliche sul modello degli Ipsas, ovvero dei principi di contabilità che già si usano nelle imprese, passando da una contabilità per cassa a una contabilità per competenza.

Perché farlo? Perchè aggiornando i conti solo quando si paga o si incassa, la conoscenza dei fatti economici è parziale, con ricadute anche sul piano della programmazione finanziaria; trasferendo al futuro gli oneri degli incassi e dei pagamenti, si spostano in avanti anche i doveri della rendicontazione. Eppure la direttiva 2011/85/UE parla chiaro laddove prescrive agli Stati membri di dotarsi "di sistemi di contabilità pubblica che coprano in modo completo e uniforme tutti i sottosettori dell'amministrazione pubblica e contengano le informazioni necessarie per generare dati fondati sul principio di competenza al fine di predisporre i dati basati sulle norme del SEC 95[2]".

Più rigore e trasparenza nella rendicontazione dei dati di bilancio, più possibilità di comparare i bilanci degli Stati, per capire meglio la situazione finanziaria dei singoli paesi. Il tema è cruciale anche per l'Italia dove però l'armonizzazione dei sistemi contabili della pa corre parallela rispetto alle aspettative Ue, ovvero alla richiesta di un'adozione della contabilità economico-patrimoniale. Come argomentano Ileana Steccolini e Mariafrancesca Sicilia, rispettivamente associato di economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche e docente a contratto di bilancio all'Università Luigi Bocconi, in un articolo apparso su viaSarfatti25, dal titolo Roma e Bruxelles, armonie diverse, "anche in Italia si parla di armonizzazione contabile con riferimento a un pacchetto di riforme dei sistemi contabili pubblici contenuto nel decreto legislativo 118/2011 [..].Tuttavia, nel contesto italiano armonizzazione è diventato sinonimo di rinnovamento del tradizionale sistema di contabilità finanziaria".

Detto altrimenti, le amministrazioni pubbliche italiane dal 2015 avranno nuove regole su cui basarsi ma che vanno a rinnovare il tradizionale sistema di contabilità finanziaria, lontano quindi dalla contabilità economico-patrimoniale richiesta dalla Ue; la mancanza di cooperazione per l'adozione dei principi Ipsas nella forma adeguata alle amministrazioni pubbliche è poi un cattivo segnale, sotto altri punti di vista: come scrivono anche Steccolini e Sicilia, rischiamo di "rafforzare una posizione periferica" anche sui temi sui quali dovremmo essere particolarmente attivi ed esposti.

Spiega Steccolini: "La discussione a livello europeo si basa sull'adozione di principi quanto più possibili comuni, per favorire la trasparenza e una governance comunitaria. Si discute quindi dell'adozione di standard contabili a base economico-patrimoniale, la stessa che viene usata per le imprese. In Italia è emerso un problema analogo di armonizzare i sistemi contabili della pa, essendo anche presenti diversi livelli di governo e diverse pubbliche amministrazioni ognuna con sistemi contabili differenziati. Quindi, il problema è emerso anche in Italia ma la risposta che è stata data ha puntato fortemente sull'armonizzazione del vecchio sistema contabile che non è tradizionalmente a base economico-patrimoniale, ma è quello di contabilità finanziaria. Un conto è mettere in bilancio le spese che si sostengono per acquistare le cose, un altro gli ammortamenti dei beni che si usano”.

Permanere in un modello di vecchio tipo cosa consente, una maggiore flessibilità di manovra nell'ambito della rendicontazione? “Ogni sistema contabile lascia margini di manovra, cosi come ogni sistema contabile lascia margini per rappresentare in modo trasparente una performance. Il punto non è necessariamente o non è solo il sistema contabile ma anche chi lo usa e i principi che vengono utilizzati. Il sistema di contabilità finanziaria ha sì lasciato alcuni spazi di manovra; il sistema di contabilità economico-patrimoniale rende possibile conoscere alcuni aspetti più approfonditi della performance pubblica, come i debiti o alcune attività e beni delle amministrazioni pubbliche; tuttavia pure si presta a determinate finalità di politiche di bilancio, come nelle imprese. Non possiamo dire che un sistema sia necessariamente obiettivo e l'altro no. Nel caso italiano dobbiamo anche porci un altro problema: abbiamo accumulato centinaia di riforme della pa che poi non sono necessariamente state implementate, non essendo stati attuati i decreti attuativi. Bisogna vedere in termini di implementazione dove si va a finire”.

Lo scorso agosto il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto legislativo che integra e modifica il decreto 118/2011 che reca le disposizioni  per l'armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi. Spiega Sicilia: “L'idea del decreto è quella di correggere alcune dinamiche che si venivano a manifestare in quanto la contabilità finanziara ha delle caratteristiche e una serie di pregi, ma l'applicazione di questi principi ha finito per generare dei problemi. Le faccio un esempio banale. Il bilancio della Regione, a causa di formati diversi, non interloquiva correttamente con i bilanci degli enti locali: un problema che si ripercuoteva anche nelle registrazioni contabili, nel caso dei debiti degli enti verso le Regioni stesse, ad esempio. Il nuovo modello vuole un maggior dialogo tra i sistemi contabili e in qualche modo rimediare a una serie di disfunzioni. Inoltre, restringe il concetto di accertamento ai crediti realmente esigibili, mentre prima la funzione di accertamento delle entrate lasciava spazi di manovra tali per cui gli enti procedevano in maniera discrezionale. A partire dal 2015 la riforma dovrebbe andare a regime,  per tutti gli enti indistintamente, oltre a quelli sperimentatori che hanno messo mano al sistema in coesistenza con i  vecchi schemi”.

Anche il tema dell'armonizzazione contabile è un banco di prova per l'Italia di fronte all'Europa; come scrivono Sicilia e Steccolini “questa scelta desta preoccupazione perché rischia di rafforzare la posizione periferica dello stato italiano anche su temi su cui, considerato il peso del debito pubblico del nostro paese, ma anche del relativo pil, sarebbe auspicabile che l’Italia assumesse invece un ruolo da protagonista”. Non è difficile capire perché, spiegano le accademiche, e chi ci strappa la palma del cambiamento: “Altri Paesi, come la Germania, si muovono molto su questo fronte, anche grazie all'attività accademica e con una serie di iniziative significative; eppure la Germania, a differenza di paesi come la Gran Bretagna, non ha in passato primeggiato nel campo delle riforme dei sistemi contabili pubblici rispetto ad altri. Nel nostro caso, difficilmente si diventa capofila di questo cambiamento se non si è inclini a introdurre un certo tipo di sistema, scegliendo di riformare il vecchio”.