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Assolto per stupro perché la vittima “non urlò”. La Cassazione: “Processo da rifare”

(Getty Creative)
(Getty Creative) (Pattanaphong Khuankaew via Getty Images)

Aveva denunciato un suo collega per stupro, ma in primo grado l'uomo era stato assolto perché la vittima si era limitata a dire “basta”, ma “non aveva urlato". La donna, a detta del giudice, non aveva “tradito quella emotività che pur avrebbe dovuto suscitare in lei la violazione della sua persona”.

Così l’imputato, M. R., un volontario del 118, era stato assolto in primo grado per presunti abusi sessuali commessi tra il 2010 e il 2011 ai danni di una collega all'ospedale Gradenigo. Il racconto della volontaria del 118 era stato giudicato "intrinsecamente inverosimile" dal tribunale. Il giudice aveva anche deciso di trasmettere gli atti in procura per procedere contro la vittima per calunnia.

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In appello la donna era stata riascoltata e ritenuta pienamente credibile, ma l'imputato era stato nuovamente assolto per un cavillo legale: mancava infatti la querela da parte della volontaria. Nel fare ricorso per Cassazione, il sostituto procuratore generale Elena Daloiso aveva sottolineato il ruolo di superiorità dell’imputato rispetto alla vittima. L'uomo, oltre ad essere un volontario, era un istruttore e aveva funzioni di organizzatore del servizio. La vittima, sua sottoposta, non aveva perciò sporto subito denuncia perché impaurita dalla situazione di “inferiorità” in cui si trovava.

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La Cassazione ha dato ragione alla procura generale e il processo d'appello è stato ritenuto da rifare. La querela non è stata ritenuta necessaria e il reato è stato giudicato procedibile d'ufficio.

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