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Banche devono svalutare sofferenze ancora di almeno 10% per cessioni

La sede di UniCredit a Milano, in una foto del 2 febbraio scorso. REUTERS/Stefano Rellandini/Files

di Valentina Za e Francesca Landini

MILANO (Reuters) - La banche italiane sono legate a doppio filo alla montagna di crediti deteriorati accumulata in tre anni di recessione e la pulizia di bilancio imposta dall'asset quality review non ha sbloccato il mercato delle sofferenze.

L'interesse degli investitori esteri è vivace, ma compratori e venditori di crediti non-performing sono separati ancora da un gap di prezzo del 10-20% che richiederebbe svalutazioni per 18 e 36 miliardi di euro per gli NPLs italiani.

Se il progetto di una bad bank, a cui sta lavorando il governo, dovesse arenarsi definitivamente alle banche non resterebbe che tenere questi crediti in bilancio sperando in una ripresa dell'economia, invece che favorirla con nuovo credito.

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Gli istituti, infatti, non sono pronti a altre svalutazioni che tornerebbero a indebolire il capitale degli istituti dopo i 10 miliardi raccolti solo lo scorso anno, rendendo necessari nuovi aumenti di capitale.

"In media le banche italiane non hanno margini per fare accantonamenti necessari affinchè i crediti vengano venduti", dice Giovanni Bossi, AD di Banca IFIS, attiva nell'acquisto e gestione di crediti al consumo entrati in sofferenza.

"La distanza media tra il prezzo a cui le banche vogliono vendere le sofferenze e prezzo a cui fondi vogliono comprare è una percentuale in doppia cifra, almeno 10%", aggiunge.

Le partite deteriorate sono un asset poco liquido e molto rischioso in un paese dove i creditori impiegano sette anni a mettere le mani sulle garanzie di un prestito.

Lo stock delle sofferenze è raddoppiato negli ultimi quattro anni a 186 miliardi di euro, in parallelo a una riduzione di analoga misura dei prestiti bancari alle società non finanziarie.

Per Banca d'Italia il complesso dei crediti deteriorati ammontava a giugno scorso a 333 miliardi, il 17% del totale impieghi, e circa quattro volte la media europea.

Sotto la spinta delle autorità di vigilanza le banche italiane hanno significativamente aumentato gli accantonamenti per perdite su crediti negli ultimi anni.

Nel biennio 2013-14 le prime sei banche hanno effettuato rettifiche su crediti per 33 miliardi di euro. Ma non è ancora sufficiente a scaricare volumi significativi sul mercato.

BAD BANK E AIUTI DI STATO

Interventi per accorciare i tempi di escussione delle garanzie, ventilati dal governo, aiuterebbero a ridurre i rischi per i potenziali acquirenti. Ma per realizzarli serve tempo.

"I fondi che investono in NPLs richiedono tipicamente ritorni che si avvicinano al 20% a fronte del rischio percepito e della difficoltà di recuperare le garanzie sottostanti in tempi ragionevoli", spiega Erberto Viazzo – partner di EY, società di revisione al lavoro su alcune operazioni di NPLs.

"Nonostante l'enorme liquidità presente nel sistema, la presenza di investitori con un'ottica più di medio-lungo periodo e rendimenti richiesti più contenuti rimane marginale. La chiave per la riduzione del gap di prezzi, potrebbe quindi proprio essere la creazione o il supporto a questo tipo di investitori".

Gli sforzi italiani di creare una "bad bank" di sistema si sono scontrati contro le nuove regole europee sui salvataggi bancari, che impongono perdite ad azionisti e obbligazionisti junior prima di poter accedere a degli aiuti di stato.

Una trattativa e' in corso con Bruxelles e un incontro decisivo dovrebbe tenersi a meta' aprile.

Nel frattempo, spiega un dirigente di Banca Popolare dell'Emilia Romagna, le banche sono impegnante a migliorare l'efficienza dei recuperi e stilare accordi per esternalizzare parte dell'attività visto che le strutture interne sono oberate dai volumi raggiunti dai non-performing.

"Percepiamo attenzione da parte degli investitori a crediti non-performing di tipo corporate di aziende che hanno mantenuto una certa sostenibilità di tipo industriale e possono essere rivitalizzate", spiega.

Sui crediti ristrutturati è incentrata la partnership tra UniCredit, Intesa Sanpaolo e l'americana KKR.

Un altro segmento su cui cessioni sono più probabili sono i cosiddetti 'small ticket', unsecured e non, che hanno generalmente livelli di copertura molto elevati con pricing gap contenuti: sono posizioni che richiedono un onere gestionale molto rilevante a fronte di un valore del credito molto contenuto.

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