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Banda larga nazionale, ecco a chi dispiace

Fibra ottica nazionale, un piano da Palazzo Chigi?
Fibra ottica nazionale, un piano da Palazzo Chigi?

Che l'estensione a livello nazionale della banda larga possa rappresentare, per l'Italia, un importante strumento di sviluppo economico, è tema sul quale alternatamente la politica ritorna di tanto in tanto, con piani promossi in materia da differenti governi. Eppure il digital divide continua a dividere un paese raggiunto solo per il 53% da una connessione veloce, nonostante questa sia stata dichiarata, anche dall'Agenda digitale europea, come un'infrastruttura da rendere disponibile entro il 2020 per il maggior numero possibile di cittadini, e possa contribuire ad accelerare anche la digitalizzazione della pubblica amministrazione e lo sviluppo di settori imprenditoriali legati alle tecnologie.

Secondo le indiscrezioni raccolte dal Fatto Quotidiano, a Palazzo Chigi sarebbe in fase di concepimento la costruzione di una nuova rete pubblica in fibra ottica spenta, con un piano denominato “Rinascimento 2.0 – Progetto iFon” (acronimo di Italian Fiber Optic Network). Si tratterebbe, quindi, di una rete di proprietà dello Stato, “messa disposizione, a parità di condizioni tecniche ed economiche” ai vari operatori sul mercato delle connessioni, e senza costi aggiuntivi rispetto a quelli già calcolati in bolletta. La nuova azienda fonderebbe così sotto la sua egida le reti in fibra ottica delle aziende municipalizzate, che ne diventeranno socie e si stima possa raccogliere, a livello di introiti, oltre 3 miliardi di euro ogni anno.

La costruzione di una rete nazionale di questo tipo richiederebbe un piano pluriennale la cui spesa si attesta a circa 19 miliardi in totale, e potrebbe avvalersi dell'appoggio finanziario della Cassa depositi e prestiti e dei fondi pensione integrativi, dato che – al fine di garantire anche agli operatori più piccoli il regime di libera concorrenza – non potrà quasi sicuramente accogliere capitale proveniente da società che già operano nel campo delle telecomunicazioni. Un investimento, questo, che rappresenterebbe da subito un'iniezione di fiducia nell'economia nazionale, grazie all'assunzione di personale per circa 6mila posti di lavoro (senza contare i cantieri per la posa della fibra ottica stessa), e che potrebbe avvantaggiarsi di fondi europei e dell'esclusione dai vincoli del patto di stabilità degli investimenti sul digitale, di cui già ha parlato lo stesso Renzi.

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Cosa si attende, dunque per dare l'avvio a questo progetto? Va senza dubbio sottolineato che in Italia, il tema delle telecomunicazioni tocca un intrico di interessi e un'ampia serie di concessioni dispensate in passato e non più ridiscusse. Innanzitutto quello di Telecom Italia, privatizzata negli '90 con la sua intera infrastruttura in rame, che ancor oggi rappresenta per la società una garanzia di introiti e di stabilità finanziaria, anche a seguito del forte indebitamento causato dalle speculazioni degli ultimi anni.

Il valore sul mercato della rete Telecom rappresenta così un importante elemento per gli istituti creditori, che guardano alla possibilità di una sua cessione come alla possibilità di abbattare i debiti del gruppo, riuscendo a ridurne la presenza nel loro bilancio. Da parte di Telecom stessa, tuttavia, vi sarebbe l'esigenza di vendere la rete al miglior prezzo, possibilmente entrando in società con altri operatori, e costituendo un gruppo in grado di continuare a controllare le infrastrutture. Una possibilità alla quale sembra guardi con interesse la stessa Cassa depositi e prestiti, che nonostante detenga circa 240 miliardi di risparmi postali vede circa il 18% del suo capitale in mano alle fondazioni bancarie, le stesse che detengono il debito di Telecom.

Insomma, se la banda larga nazionale arriverà in Italia, sarà probabilmente solo dopo aver risolto un intricato conflitto di interessi che ancora ci inchioda alle vecchie infrastrutture.