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Bitcoin verso $13.000. E forse non è ancora pronto a scoppiare

L'onda bitcoin corre più veloce delle tastiere dei giornalisti. Mentre la stampa finanziaria racconta la nuova impresa di questa notte, con il costo di un singola moneta salito per la prima volta sopra quota 12.000 dollari, la regina delle criptovalute si è già portata nel giro di poche ore in prossimità di un nuovo record, avvicinandosi a un ritmo vertiginoso verso una quotazione di 13.000 dollari.

I nuovi dati

La piattaforma di settore CoinMarketCap registrava alle 9.00 una quotazione di 12.777 dollari (+7,63% su base giornaliera) che implica un rialzo di oltre 1000 dollari nelle ultime 24 ore (alle 9:00 di ieri il costo di un bitcoin era di 11.170,90 dollari) e fa salire a +1200% i guadagni ottenuti dai possessori dell'ormai incontrollabile moneta da inizio anno, quando il prezzo era ancora fermo (si fa per dire...) poco sopra i 950 dollari.

Anche la capitalizzazione su nuovi record

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Un'impennata che risulta tra l'altro ancora più accentuata se si tengono come riferimento altre piattaforme di scambio attive nel frastagliato universo crypto - sugli exchange della Corea del Sud, primo Paese dove il bitcoin ha superato lo scorso mese la soglia dei 10 mila dollari, il bitcoin sta attualmente scambiando a un prezzo in won equivalente a oltre 14.000 dollari - e che soprattutto permette di abbattere un'altra barriera: la capitalizzazione del bitcoin è infatti adesso superiore ai 200 miliardi miliardi di dollari (sono per la precisione mentre scriviamo $213.631.554.253) e il valore complessivo di tutte le criptovalute è ormai di oltre 370 miliardi di dollari.

Una bolla che potrebbe continuare a gonfiarsi

Nel (Londra: 0E4Q.L - notizie) frattempo - mentre si perde ormai il conto di previsioni fosche e pesanti avvertimenti, scagliati con frequenza proporzionale all'esplosione dei prezzi, sul rischio che tutta la famiglia degli asset digitali sia ormai al centro di una pericolosa bolla speculativa pronta a scoppiare - gli analisti di settore provano a spiegare quanto sta accadendo come reazione alle speculazioni degli ultimi giorni sugli effetti derivanti dall'imminente lancio dei primi contratti future regolamentati su cryptovalute, che secondo molti segnala il sempre più marcato interesse di dei grandi investitori istituzionali verso gli asset digitali e potrebbe essere quindi preludio di nuovi flussi in entrata.

E' scoppiata la guerra dei derivati

A battere la concorrenza bruciando i tempi è stato il Chicago Board Options Exchange, la più grande borsa al mondo di scambio di opzioni, annunciando domenica scorsa che il Cboe Futures Exchange (CFE) offrirà la possibilità di scambiare derivati di bitcoin a partire da domenica 10 dicembre.

I contratti, che andranno sul mercato sotto il simbolo “XBT”, saranno regolati sui movimenti di prezzo indicati da Gemini, una piattaforma dedicata alle criptovalute con sede vicino a New York, e Cboe rinuncerà alle commissioni di trading per tutto il mese di dicembre: una mossa pensata per giocare d'anticipo sui rivali di CME, altro exchange di Chicago che lancerà in parallelo la sua offerta di derivati di bitcoin dal 18 dicembre prossimo.

Una nuova asset class emergente?

Tutti segnali che il mercato potrebbe a breve continuare a gonfiarsi. Secondo Tyler Winklevoss, Ceo di Gemini, "lo sviluppo di un mercato regolato di derivati è il prossimo passo logico e cruciale verso un mercato di asset digitali più ampio", e non a caso molti analisti ritengono adesso che la Securities and Exchange Commission (SEC (Shanghai: 603988.SS - notizie) ), il regolatore di borsa americano, potrebbe a breve garantire l'approvazione anche per i primi ETF che investano in contratti derivati su bitcoin, facendone uno strumento finanziario mainstream da tenere in portafoglio.

La scorsa settimana, gli strategist di JPMorgan (Londra: JPIU.L - notizie) hanno fornito una previsione secondo cui l'introduzione di future su bitcoin garantirebbe legittimità alla criptovaluta agli occhi di molti grandi investitori che se ne sono finora tenuti lontani, trasformando le criptovalute in una “classe di asset emergente.”

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