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Bond day: Bund, Btp e Treasury, una settimana tutta di corsa

Ci siamo! I punti di riferimento del mondo obbligazionario stanno per toccare (e potrebbero farlo nei prossimi giorni) livelli decisivi, supporti sotto i quali tutto cambierà, chiudendo definitivamente un’epoca. Tre cifre lo dimostrano. Il Bund future è di poco sopra i 160,4 punti, inserito in un canale discendente che troverà probabilmente un punto di rottura nelle prossime sedute. E’ questo un primo numero maledetto, importante se si considera che ieri si è avuto un segnale alquanto anomalo: sono stati infatti collocati titoli da parte della Germania su scadenza 2046 con un rendimento all’1,2%, contro lo 0,64% della precedente operazione: quasi un raddoppio!

Il Btp si avvicina al baratro

Inevitabile l’effetto sul future del decennale italiano, sceso in serata – al di là delle perplessità politiche - a 131,43 punti, poco sopra l’area dei 130, altro numero maledetto, perché comporterebbe l’avvicinamento al supporto di lungo periodo dei 128,8, sotto il quale c’è un baratro, che riporterebbe il Btp indietro di due anni. E’ pur vero che molti indicatori tecnici sono su livelli di guardia e lasciano intendere come la perdita di dieci punti dai massimi di settembre 2016 appaia sproporzionata se si considera che siamo pur sempre sotto la tenda a ossigeno del Q.E., senza la quale il nostro titolo di Stato sarebbe forse già in fondo allo stesso precipizio.

Anche il Treasury Usa è sul bilico

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Un terzo numero maledetto riguarda il future d’oltre Oceano, che sta ballando poco sopra il livello dei 122,4 punti, con un bel cammino ormai percorso verso il basso, ma entrato in un’area in cui probabilmente registrerà un accentuato pendolarismo nei prossimi mesi, come avvenne – in senso opposto – nel 2015. Si può discutere se il rendimento da considerare decisivo per l’inversione di marcia sia quello del 2,5 o del 2,6%, il che non esclude la rottura in atto di un trend ribassista di lunghissimo periodo, un’inversione decisiva.

Ma tutti guardano a un quarto numero

In realtà a muovere direttamente il Treasury e indirettamente Bund e Btp c’è una quarta cifra, riferita al grafico conosciuto come “5y5y inflation”, ovvero alle aspettative inflattive negli Usa sui 5 anni. Da luglio 2016 è scattata all’insù: dall’1,4% in poco più di sei mesi è salita al 2,2%, dove storicamente c’è una linea di resistenza/supporto decisiva. La forza manifestata nelle ultime settimane è stata vigorosa, ma tutto si gioca sulla capacità o meno di rompere questa Maginot. La probabilità maggiore è che si entri in un periodo di instabilità, senza lo sforamento del 2,2%; in caso contrario si andrebbe verso il 2,6-2,8%, destabilizzante per i mercati, con possibili effetti negativi anche sulle Borse, impreparate a un così elevato rialzo del costo della vita oltre Oceano.

Non tutto è però chiaro

I numeri sono precisi, ma l’interpretazione del quadro generale lo è molto meno. I grandi gestori si dividono, per esempio, in relazione al posizionamento sugli “inflation linked”. Nelle ultime settimane si sono sentite non poche voci sostenere l’alleggerimento delle posizioni aperte da mesi sui Tips (Treasury Inflation-Protected Securities, titoli del Tesoro Usa che forniscono una protezione contro l’inflazione). Il motivo è abbastanza semplice: si teme che il 2,2% sia una barriera contro la quale ci si scontrerà per tutto il 2017. Se così fosse e se i tassi Fed aumentassero oltre l’1,25%, le quotazioni dei Tips – le cui cedole sono molto basse – scenderebbero precipitosamente. Gli operatori dei fondi temono precarietà in tema monetario così come sul fronte politico e cercano in questa fase dei porti in cui rifugiarsi. Per loro – al momento – gli “inflation linked” non lo sono più e ciò avviene proprio quando il “retail” si muove invece in questa direzione. Ne consegue una grande confusione: non resta quindi che monitorare con attenzione il “5y5y inflation” e sperare che non dia indicazioni contradditorie.

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