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Borse: è debacle. Corrono oro ed euro

La reazione delle Borse all'acuirsi della crisi nordcoreana è stata immediata: alle 13 il Ftse Mib era a -1,6% (21.384 punti), il Dax a -1,75%, il Cac 40 a -1,4% e il Ftse 100 registrava un calo dell'1,16%.

Le reazioni della crisi

Tokyo trova l'appoggio incondizionato degli Usa non solo nella condanna per il lancio ma anche nel voler coinvolgere Russia e della Cina nella questione diplomatica nordcoreana. Dal canto suo, invece, Pechino continua a frenare invocando per l'ennesima volta moderazione e autocontrollo come chiesto dal portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Hua Chunying. Secondo la diplomazia cinese, infatti, pressioni e sanzioni non sono state in grado di risolvere la crisi il che porta all'urgenza della ripresa del dialogo e dei negoziati.Concorde il parere della Russia che ha già considerata esaurita l'opzione delle sanzioni come confermato dal vice ministro degli Esteri russo Sergei Riabkov all'agenzia di stampa Ria Novosti.

In tutto questo, l'euro sfonda la soglia psicologica di 1,20 con il dollaro continuando la sua corsa. Una corsa favorita, nelle scorse sedute anche dalle parole (soprattutto da quelle non dette) di Janet Yellen, governatore della Federal Reserve, e di Mario Draghi, numero uno della Bce (Toronto: BCE-PRA.TO - notizie) . Entrambi hanno elogiato sia i vantaggi derivanti dalle varie misure di stimolo introdotte all'indomani della crisi scoppiata nel 2008, sia la necessità di mantenere quelle misure, soprattutto in virtù di pericoli ancora presenti e diventati addirittura familiari con il passare del tempo.

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Queste le cause che hanno creato un rally che, secondo gli esperti potrebbe continuare anche nei prossimi mesi. In particolare quelli di Swissquote (Stoccarda: 1SQ.SG - notizie) hanno sottolineato che l'attenzione resterà alta almeno fino al 7 settembre, data in cui la Bce tornerà a riunirsi. Le parole di Mario Draghi, in particolar modo, hanno fatto intendere una fiducia costante del governatore verso la ripresa, altrettanto costante dell'Eurozona; nel frattempo, però, l'inflazione è rimasta ancora lontana dal target fissato del 2% e i bond utili per essere acquistati da Francoforte all'interno del piano di Quantitative Easing la cui fine è prevista entro l'anno, iniziano a scarseggiare, rendendo sempre più difficile il compito degli acquisti mensili di 60 miliardi. Il che non gioca a favore di un possibile prolungamento del QE e, cosa ancora più preoccupante, spingerebbe verso un ulteriore rafforzamento della mota unica.

Le conseguenze

Le prime conseguenze del caso vedrebbero in prima fila le merci prodotte nel Vecchio Continente, merci che perderebbero appeal e competitività sul resto del mercato, perchè troppo costose rispetto a quelle della concorrenza. Altra conseguenze si ha su chi ha investito in valuta statunitense o in altre divise che stanno accusando debolezza sul cross con la moneta unica. Proprio a proposito di dollaro, il paradosso arriva da Washington: con una politica fiscale ed economica praticamente inconcludente (le tante promesse fatte in campagna elettorale troverebbero una prima applicazione solo a settembre inoltrato con la presentazione al Congresso dei testi di legge, sempre che si raggiunga nel frattempo un accordo tra le parti) Washington si trova invece avvantaggiata con un biglietto verde indebolito anche grazie al fatto che la stessa Fed, nonostante i reiterati annunci di normalizzazione delle politiche monetarie, finora è stata molto blanda sui provvedimenti. Tanto blanda che per alcuni il prossimo step è rimandato al 2018.

Da parte sua, intanto, la Bce non solo deve riuscire a gestire un caos interno derivante dall'indecisione sulle tempistiche di eventuali (e tuttora lontane) misure di normalizzazione, ma deve anche tornare a combattere contro la Bundesbank che ha più volte ricordato come l'inflazione non sia stata minimamente toccata dalle misure di acquisti decise dalla banca guidata da Draghi.

Ma non è solo l'euro a correre: complici le tensioni internazionali, così come anche il paventato immobilismo della Fed, anche l'oro ha registrato un'infiammata delle quotazioni arrivando a salire dai 1.152 dollari di inizio gennaio ad oltre 1.325 di queste ultime ore. Ma il metallo giallo ha trovato un alleato inatteso anche nel presidente Trump e nella serie di incertezze che la sua politica ha portato sui mercati soprattutto dopo la trionfale campagna elettorale cui non è corrisposto invece un'altrettanto trionfale concretizzarsi delle sue proposte al Congresso.

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