Annuncio pubblicitario
Italia markets closed
  • FTSE MIB

    34.750,35
    -9,34 (-0,03%)
     
  • Dow Jones

    39.807,37
    +47,29 (+0,12%)
     
  • Nasdaq

    16.379,46
    -20,06 (-0,12%)
     
  • Nikkei 225

    40.369,44
    +201,37 (+0,50%)
     
  • Petrolio

    83,11
    -0,06 (-0,07%)
     
  • Bitcoin EUR

    64.897,79
    -423,62 (-0,65%)
     
  • CMC Crypto 200

    885,54
    0,00 (0,00%)
     
  • Oro

    2.254,80
    +16,40 (+0,73%)
     
  • EUR/USD

    1,0790
    -0,0003 (-0,03%)
     
  • S&P 500

    5.254,35
    +5,86 (+0,11%)
     
  • HANG SENG

    16.541,42
    +148,58 (+0,91%)
     
  • Euro Stoxx 50

    5.083,42
    +1,68 (+0,03%)
     
  • EUR/GBP

    0,8549
    +0,0002 (+0,03%)
     
  • EUR/CHF

    0,9723
    -0,0003 (-0,04%)
     
  • EUR/CAD

    1,4613
    +0,0007 (+0,05%)
     

Brand perdenti, perché piacciono ai consumatori

L'effetto underdog vale anche nel mondo dei consumi perché genera empatia

Shopping mall

Non solo nell'ambito politico e nello sport, ma anche nel mondo dei consumi l'effetto underdog si impone con gran forza, specialmente in tempo di crisi e ristrettezze economiche. Di cosa parliamo? Di quella tendenza opposta al “salto sul carro del vincitore”, traducibile con “andare in soccorso del perdente”, ovvero scegliere chi ha meno chance di imporsi.

Un effetto antiwinner: potrei scegliere il vincitore annunciato, ma preferisco, in senso antagonista, spendermi per quello all'apparenza già sconfitto. Vale anche nel mercato dei consumi, laddove i brand “deboli” si impongono a causa della crescente voglia dei consumatori di identificarsi con storie che gli somigliano: aziende e soggetti che hanno annaspato, lottato, visto il fallimento molto da vicino ma sono riuscite a imporsi nell'arena del mercato. In tempi economicamente difficili, i marchi all'apparenza perdenti guadagnano potere e piacciono trasversalmente, dall'ambito del cibo a quello della tecnologia, dalle automobili alle bevande.

Ma perché? Il tema è spesso al centro dell'attenzione degli studiosi come già dimostrava un articolo sul Journal of Consumer Research dal titolo "The Underdog Effect: The Marketing of Disadvantage and Determination through Brand Biography". Quando un'azienda può vantare una biografia perdente, almeno alle origini, si stabilisce infatti una maggior empatia col pubblico. Elemento essenziale di una biografia perdente è l'iniziale confronto impari sul mercato contro un “top dog”, ovvero un marchio che da sempre riveste una posizione dominate e ha anche nobili natali, o, quantomeno, una lunga tradizione.

Costretto quindi a muoversi in un contesto di mercato difficile, il perdente, ovvero il brand, persevera di fronte alle avversità, rimane concentrato sull'obbiettivo finale e si impone malgrado gli ostacoli. In alcuni casi, il parallelo identitario tra consumatore e marchio si rafforza: succede quando il consumatore è egli stesso un outsider rispetto alla platea che acquista; quando il consumatore compra per sé piuttosto che per gli altri; quando le narrazioni underdog fanno parte dell'identità culturale nazionale.

La narrazione delle gesta dei perdenti è anche un mito culturale non da poco, che si impone in testi religiosi, nella letteratura, nell'arte e nella politica. Nel caso dei consumi quest'attitudine si concretizza specialmente nei momenti di crisi, quando le prospettive economiche sono desolanti e il potere d'acquisto basso: indicare al pubblico che l'azienda ha superato e vinto a sua volta certe difficoltà è più consolante di altre logiche di marketing. Un effetto che supera i confini culturali, ma che è molto forte negli Stati Uniti, un Paese dove le storie di vincenti venuti dal basso sono molte, e dove recessione, inflazione e crisi finanziaria, con i cambiamenti con nessi alle distribuzioni di reddito e alla diminuzione dei tassi di mobilità socio-economica, hanno mutato volto anche ai consumi.

Non tutti però possono permettersi una biografia da losers: il problema della credibilità della narrazione perdente è uno dei più importanti per chi vuole associare al proprio marchio un trascorso di affanno e un presente di gloria. Uno status che a volte le aziende  possiedono alle origini ma poi perdono, quando acquisite da grandi compagnie.

Inoltre, non tutti i prodotti si prestano a questo tipo di storytelling: laddove in gioco ci sono valori come la qualità e la sicurezza, i consumatori apprezzano i vincenti o coloro che da sempre sono affidabili. Se è vero che una biografia da loser può strategicamente rafforzare il rapporto tra consumatore e marchio, è anche vero che ci vuole una certa integrità di fondo.

Non sfugge infatti, a chi elabora la brand identity di un'azienda, il fatto che una biografia underdog spesso aiuta a evitare la reazione violenta dei consumatori, in particolare contro le multinazionali. Mostrarsi grandi, potenti e ricchi suscita in alcuni casi antipatia e rigetto da parte di chi compra, specialmente verso quei brand partiti come alfieri di una cultura artigianale e diventati poi onnipresenti e simbolo della globalizzazione pervasiva e imperante.

Lottare per arrivare ad alti livelli e poi dover minimizzare per piacere al pubblico: un paradosso, e che pure ha senso, in un mondo dove sono molti, per motivi sociali, etici e politici, a rigettare la logica del vincente a tutti i costi.