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Il brevetto: incentivo all’innovazione o limite alla concorrenza?

Un libro del fisico Andrea Capocci riflette sul complesso ruolo del brevetto nel corso della Storia

Andrea Capocci, Il brevetto (Ediesse, 2012)

Immersi nell’evoluzione perenne della tecnologia, della scienza, dell’informatica, ci interroghiamo abbastanza  sulla stretta relazione tra proprietà intellettuale e innovazione? Il nodo è cruciale in un mondo in cui nazioni e gruppi sociali continuano a usare il concetto di proprietà intellettuale, con le annesse declinazioni in brevetti e copyright, come arma da brandire per difendere conquiste innovative ma anche rendite di posizione economica.

Se la storia del progresso occidentale passa anche dal brevetto, e dalle regole che lo governano, è giusto porsi domande sulle regole attuali e sugli scopi futuri di uno strumento che continua a racchiudere in sé l’ambivalente ruolo di stimolo o di ostacolo all’innovazione. Una domanda a cui risponde il saggio del fisico Andrea Capocci, Il brevetto (Ediesse, 2012).  Un testo che racconta, analizza e descrive passato, presente e futuro del brevetto, in un mondo che cambia e che chiede nuove regole.

Yahoo! Finanza ha intervistato Andrea Capocci: dottore di ricerca in fisica teorica presso l’Università di Friburgo (Svizzera), è docente di Fisica e contrattista di ricerca presso l’Università degli studi di Roma "La Sapienza", ma anche saggista e autore di numerosi articoli scientifici. 

Il suo libro è uno studio che ripercorre le tappe del brevetto, quasi come stadi evolutivi: in che fase siamo?
"Siamo in una fase importante, in molti settori il brevetto sta mostrando i suoi limiti, ma per risolvere i problemi che pure gli vengono addebitati, occorrono modifiche sostanziali relative al diritto e all’economia internazionale. Nel campo delle tecnologie che si riferiscono alla comunicazione e all’informatica è grande il dibattito sul ruolo di quei brevetti che sono essenziali per mettere in connessione i dispositivi che usiamo ogni giorno. Limitare l’accesso ad essi da parte di aziende concorrenti, è limitare le possibilità di interconnessione fra prodotti. Nel campo farmaceutico è difficile conciliare gli interessi delle aziende che detengono gran parte dei brevetti attuali con il diritto dei paesi emergenti ad accedere al mercato dei farmaci. Queste sono alcune delle controversie economicamente più rilevanti, posto, di fondo, il diverso impatto sociale tra un farmaco e un cellulare".

Tra i punti più interessanti, emerge la prospettiva liberale sull'abolizione del diritto di brevetto, inteso anche come forma di monopolio : cosa resta dell'eredità di questo discorso ottocentesco nell'epoca attuale? La pirateria sul brevetto è una propaggine ultima di questo discorso che mira a rompere i monopoli sulle invenzioni?
"E’ un discorso che riemerge e riaffonda in maniera  periodica nel corso della Storia, si parlava del brevetto come limite al libero mercato già nell’Ottocento; oggi questo discorso sta tornando, e in Italia dovremmo essere orgogliosi di avere un economista italiano, Michele Boldrin, tra i capostipiti di una scuola che vede nel brevetto un limite alla possibilità di allargare il mercato e il libero scambio. La stessa pirateria emerge altrettanto periodicamente ma, mentre un tempo erano gli Stati che la praticavano su larga scala per colmare gap commerciali o imporsi in territori commercialmente vergini, adesso sono i singoli cittadini che si organizzano e contrastano i  limiti posti dal brevetto. Sostanzialmente, la critica liberale al brevetto e il suo lato illegale, che poi è la pirateria, sono due fenomeni fisiologici quando si pongono limiti rigidi alla diffusione e alla condivisione di conoscenze".

In Italia i tempi per esaminare una richiesta di brevetto sono più che raddoppiati negli ultimi dieci anni: quanto ci costa in termini di mancato sviluppo?

"Va fatta una premessa; oggi parlare di brevetto italiano ha senso limitato. Detenere un brevetto soltanto in Italia è un limite perché, con la facilità attuale di diffusione dell’informazione, chi voglia mantenere il monopolio su una certa invenzione, deve farlo a livello internazionale, in un numero ampio di Paesi. Ha senso parlare di brevetti continentali. L’impatto dei singoli brevetti italiani sull’economia è limitato. Certamente, un Ufficio brevetti non di alto livello è un segnale di disinteresse nei confronti della qualità dell’innovazione. Si può essere critici nei confronti del brevetto e considerarlo un danno, ma il ruolo degli uffici brevetti è decisivo; se funziona male permette o di non brevettare delle invenzioni che avrebbero  valore economico o di brevettarne altre che impediscono all’economia di svilupparsi più dinamicamente".


Porta l'esempio dell'industria farmaceutica italiana per dimostrare come l'adeguamento della legislazione nazionale sui brevetti farmaceutici ai livelli internazionali, abbia distrutto un nostro asset importante e i distretti a esso associati. Quali altri segmenti dell'industria abbiamo lasciato sul campo per analoghe ragioni?
"L’evoluzione dell’industria italiana negli ultimi trent’anni è una storia di insuccessi talmente ampia che sarebbe anche ingiusto addebitarla soltanto al brevetto. Sicuramente il caso dell’impatto del brevetto sull’industria farmaceutica è uno dei più noti e studiati. Ma c’è anche un motivo pratico: i farmaci, tra tutti i prodotti, sono stati quelli più recentemente resi brevettabili; l’anomalia era precedente, non solo in Italia, ma anche in paesi che ospitano grandi multinazionali farmaceutiche, come la Svizzera, la Germania. Oggi questa tendenza si sta invertendo. Con l’apertura del mercato dei generici, molte nazioni fanno il percorso opposto, limitano la protezione dei farmaci e cercano, attraverso una più debole protezione, di conquistare fette di mercato nel segmento dei generici. In altri periodi storici, più lontani, molte altre innovazioni sono state portate via o introdotte in Italia grazie a politiche restrittive o espansive sul brevetto; basti pensare all’industria del vetro o del tessile. Sono eventi lontanissimi ma che ci portano a considerare come il brevetto accompagni lo sviluppo dell’economia dal  Rinascimento ad oggi".

Perché è difficile estendere il brevetto a un settore tecnologicamente competitivo e performante come quello dell’implementazione dei software?
"Tradizionalmente il brevetto dovrebbe riguardare solo invenzioni, dispositivi, ma non le idee di fondo. E' difficile stabilire se quando brevetto un software brevetto soltanto l’implementazione o se sto brevettando l’idea di fondo che c’è dietro, che è più profonda e non può essere brevettata. Questa distinzione tra idee di fondo e dispositivi fa parte della storia del brevetto, è giusto e legittimo ritenere che si possa brevettare una calcolatrice, ad esempio, ma certo è dannoso che qualcuno voglia brevettare la radice quadrata. Nell’informatica stabilire il limite tra l’idea matematica e l’esecuzione tecnica è molto complesso. Vige un orientamento di fondo, ma permangono le continue controversie legali".

Start up e brevetti. Come si conciliano?
"E’ brevettabile l’idea se presentata come dispositivo, procedura inserita in un dispositivo tecnologico. Non è brevettabile l’idea di fondo, ma il sito, l’app, l’interfaccia. Il limite è labile, ma è difficile concepire oggi una start up che faccia leva sui brevetti. Nel momento in cui l’azienda parte, investire sul brevetto è impresa impegnativa, e le startup hanno bisogno  di partecipare a sistemi economici più aperti in cui le informazioni circolano più rapidamente. Il brevetto ha avuto grande importanza nelle start up biotecnologiche,  in quanto in quel campo il percorso era: fondare l’azienda, creare un brevetto, venderlo a un’altra azienda o inglobare la startup in un’azienda più grande. Nel mondo dell’informatica, dei social, questo fenomeno è più limitato".

“I brevetti sono inseriti in un contesto economico ed industriale, ed è piuttosto l’interazione di tutti i fattori a determinare il risultato finale”, scrive nel libro. Cosa deve fare l’Italia per rilanciare l’innovazione, in un Paese dove non mancano lacci e rigidità che ingessano il mercato?
"E’ vero, ci sono tantissime rigidità che vanno superate, ma servono anche reti di protezione alternative come dimostra il mercato del lavoro, di recente ulteriormente liberalizzato, ma senza ulteriori salvaguardie. Nel campo della creatività, delle idee si deve investire in istruzione e cultura, come dimostra il modello scolastico e accademico americano, alla base  dell’esplosione dell’innovazione, e dei brevetti. Se non si riparte dal seminare cultura scientifica nei ragazzi di oggi, è difficile avere gli inventori di domani, nessuna liberalizzazione può funzionare meglio delle idee che abbiamo nel nostro cervello".