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Brexit: 3 mesi fa il referendum che (non) ha sconvolto il mondo

La mattina del 24 giugno l’Europa scopriva con sorpresa che il vento di insofferenza per un’Unione che in realtà non era mai stata tale, soffiava molto più forte di quanto non pensasse.

Referendum a sorpresa

La Gran Bretagna nel referendum del giorno prima si era espressa, seppur con uno scarto minimo del 525 contro il 48%, per l’uscita dall’Ue. Nulla avevano potuto i tanti appelli arrivati da più parti per scongiurare un pericolo visto come globale non solo dalla stessa Ue ma anche da Bce (Toronto: BCE-PA.TO - notizie) , Fmi, Ocse. Nulla avevano potuto le innegabili influenze dei rappresentanti del settore finanziario, perno economico della nazione la quale ha fatto proprio lo status di “isola felice” in tutti i sensi, per le società di brokeraggio. Così come nulla aveva potuto, in ultima analisi, nemmeno la popolazione della capitale, Londra, che, chiamata in massa a difendere gli ideali di internazionalità e multiculturalismo che da sempre l’hanno contraddistinta, si è dovuta piegare, alla fine, alla volontà del resto della nazione la quale, in netta contrapposizione, aveva avanzato un’opinione diametralmente opposta.

L'Inghilterra e i suoi problemi

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Da tempo, infatti, gli osservatori avevano notato come Londra avesse assunto sempre più le caratteristiche di una nazione nella nazione non solo per dimensione ma anche per privilegi economici, struttura sociale , soprattutto, risorse finanziarie assorbite a livello centrale.Una guerra interna alla stessa Gran Bretagna che, però, rischiava di espandersi al resto dell’Europa con il venir meno di una vera e propria colonna portante (finanziariamente parlando) per l’Unione.

A tre mesi da quel risultato i tanto temuti rischi non si sono concretizzati e le ondate di panico sui mercati si sono ridotte ad alcuni giorni di fortissima e innegabile volatilità,. peraltro prevedibile e fisiologica, e a un costante indebolimento della sterlina.

Pericolo scampato allora?

Non del tutto, infatti alla luce di quanto si sta profilando all’orizzonte potrebbe trattarsi solo di un appuntamento rimandato. Infatti i numeri, sebbene non catastrofici di certo non sono esaltanti: il Pil del 2016 sarà un 1,9% per Ubs (Londra: 0QNR.L - notizie) con un rallentamento a un comunque dignitoso 0,7% sul 2017. Il calo della sterlina è stato confermato e inteoria avrebbe aiutato l’export, peccato che la Gran Bretagna non sia una potenza esportatrice, bensì importatrice e, in questo caso i beni importati sono risultati ovviamente più costosi. Cali sensibili sia sul fronte immobiliare (-10% il che è stato anche un bene vista la bolla immobiliare che si era creata) che su quello dei salari ma si tratterebbe di soglie accettabili e ben al di sotto dei livelli da panico inizialmente previsti. innegabilmente un aiuto è arrivato dall’azione tempestiva della Bank of England che ha deciso di tagliare i tassi al minimo storico allo 0,25% e riattivare le misure di acquisto in stile QE.

Fuori dall'Ue: ma come?

Il problema dell’incognita principale, però resta focalizzato su un punto: il voto ha detto che Londra (intesa come nazione ma non, paradossalmente, come realtà metropolitana) vuole lasciare l’Ue. Ma nessuno sa come fare e soprattutto nessuno di quelli che hanno in mano il governo ha il coraggio di dare il via alle procedure, nemmeno coloro che questo referendum lo hanno ideato, proposto e sostenuto. il caso ben noto e più eclatante è stato quello delle dimissioni di Nigel Farage, il principale sostenitore della campagna a favore del Sì il quale, nelle ore immediatamente successive all’ufficializzazione del verdetto, ha annunciato le sue dimissioni da leader del partito dell’Ukip, di chiara impronta euroscettica preferendo conservare solo la carica all’Europarlamento (strano ma vero…). Più ovvie, invece, le dimissioni dell’allora primo ministro David Cameron il quale, vista la scelta della popolazione, ha ritenuto utile farsi da parte, convinto che un’operazione del genere, cioè il divorzio dall’Unione, sarebbe stato portato avanti meglio da altri. Lo stesso ha pensato anche Boris Johnson ex sindaco di Londra il quale, evidentemente, non se l’è sentita di assumersi una responsabilità del genere e ha deciso di rinunciare alla candidatura come leader dei conservatori, partito di appartenenza del dimissionario Cameron; caduta infatti la carica, con ogni probabilità sarebbe stato Johnson a dover raccogliere la scomoda eredità. Un’eredità che, molto più coraggiosamente, è stata raccolta da una donna, Theresa May, forse a conferma che le donne inglesi da Elisabetta I alla Thatcher non mancano certo di carattere.

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