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Bruce Weber e Paolo Di Paolo, un tesoro di gioventù: "La bellezza c'è, è solo coperta da un velo"

Bruce Weber con Paolo Di Paolo (Photo: Little Nera Incorporated)
Bruce Weber con Paolo Di Paolo (Photo: Little Nera Incorporated)

“Fotografare è la mia passione, è la mia vita e non riuscirei a immaginarla senza. Se ci rinunciassi, non potrei respirare”, ci dice Bruce Weber quando lo incontriamo in un hotel romano. Ha una camicia a quadri, una sciarpa colorata e la sua immancabile bandana. Il caldo inatteso di fine ottobre sembra non scalfirlo. “Sto bene così, quell’accessorio che cambio quasi ogni giorno fa parte oramai di me”, spiega il fotografo e regista americano di fama internazionale, autore di immagini che hanno fatto la storia della pubblicità (indimenticabili quelle per Calvin Klein), della moda e non solo, riuscendo a combinare uno stile classico con una base più viscerale di desiderio, di umore e sessualità tra un dramma impeccabile e un gran senso di romanticismo. Siamo qui per parlare del suo nuovo film, il terzo dopo i successi di “Broken Noses” e “Let’s Get Lost”, quest’ultimo nominato anche agli Oscar. Si intitola “Paolo Di Paolo: un tesoro di gioventù”, che viene presentato oggi in anteprima alla Festa del Cinema di Roma e che è dedicato proprio al suo grande amico e collega molisano, esplorandone la vita da fotogiornalista autodidatta.

Dal paese di Larino, in provincia di Campobasso, Di Paolo, oggi 96 anni, arrivò a Roma con una valigia di cartone per studiare Filosofia, iniziando poi a collaborare per più di dieci anni con Il Mondo e rotocalchi di grande diffusione come Tempo. “Le sue foto riflettevano le difficili condizioni che la gente stava affrontando in Italia dopo la guerra”, spiega Weber, “e a quelle si aggiunsero poi quelle alle grandi dive e ai grandi divi del tempo di cui era amico, dalla Loren a Mastroianni, da Nureyev alla Magnani, dalla Taylor a Tennessee Williams, De Chirico, Grace Kelly, Ezra Pound e moltissimi altri”. Poi, con la chiusura di quel giornale e con l’avvento del giornalismo degli scandali e dei paparazzi, decise di smettere di fotografare. “Una scelta per me che faccio il suo stesso lavoro, incomprensibile”, continua Weber, guardato a vista da sua moglie Nan Bush con cui sta insieme dagli anni ’60, anche lei fotografa e grande collezionista di opere d’arte e disegni già esposti nella mostra “Heel to Heal: The Collection of Animal Paintings”, da noi vista qualche anno fa alla Windsor Gallery di Vero Beach, in Florida.

“Di Paolo smise di fotografare per quell’amore della fotografia che ci unisce”, aggiunge lui, “decidendo di ritirarsi a vita privata in campagna con la sua giovane assistente Elena – che poi divenne sua moglie - dedicando il resto della sua vita alle attività intellettuali, alle passioni personali, al suo lavoro di storico ufficiale dei Carabinieri, ai suoi due figli, Silvia e Michele”. Fu proprio sua figlia, venti anni fa, a scoprire nel seminterrato della casa dei genitori uno schedario pieno di negativi e di scatole Agfa arancioni piene di stampe. Ignara di tutto, chiese spiegazioni al padre che le rispose secco: “Una volta ero fotografo”. Lo racconta lei in questo bel documentario di Weber prodotto da Little Nera Incorporated, un viaggio nella memoria e nelle emozioni, protagoniste di un tempo lontano che affascina per la sua irrepetibilità. “Un archivio immenso, in bianco e nero, riscoperto casualmente”, aggiunge Weber, “un fascino carico di mistero”. “Sì, perché il mistero della storia di quell’uomo straordinario – fa notare - resta. Perché mai uno decide di voltare le spalle in una maniera così radicale a quella vita glamour, perché mai cancellare ogni traccia della sua identità precedente?”. Partendo da queste domande, il film va così ad esplorare quello che Weber definisce “un viaggio di auto-invenzione, di perdita e di redenzione di Di Paolo, una storia di glamour e di intrighi, piena di luminari, attrici e aristocratici, la storia sul potere di guarigione dell’arte e sulla ricostruzione di un uomo, della sua eredità e della connessione al mondo”.

Paolo Di Paolo (Photo: Little Nera Incorporated)
Paolo Di Paolo (Photo: Little Nera Incorporated)

“Da piccolo feci un sogno in cui mi immaginai due foto di Pasolini e della Magnani”, racconta Weber. “Non conoscevo Di Paolo, non potevo sapere che erano le sue, ma quando le vidi per la prima volta dal vivo, mi ricordai di quel sogno. Premonizione? Semplice coincidenza? Chissà. Fatto sta che l’emozione fu fortissima. Vidi quelle foto dal vero proprio qui a Roma con mia moglie, nella piccola galleria chiamata Il Museo del Louvre e ce ne innamorammo subito, tanto che oggi alcune fanno parte della nostra collezione, iniziando così anche un rapporto di amicizia con Di Paolo, oggi più forte che mai. Di lui mi ha sempre colpito quella ricerca di autenticità che va oltre la sensazionalità del soggetto rappresentato”. È un tesoro nazionale per l’Italia – dice anche nel film dedicato a Piero Tosi – come lo è Cecil Beaton per l’Inghilterra e Henry Cartier Bresson per la Francia”. “Guardare le sue foto, mi riporta all’infanzia trascorsa in Pennsylvania (Weber è nato nel 1946 a Greensburg, ndr) e alle serate trascorse con mia madre, mio padre e mia sorella al cinema, dove andavamo a vedere i classici europei, in particolare italiani. L’Italia meravigliosa, complicata e gloriosa allo stesso tempo, un Paese unico. Guardare un film come La Ciociara, ad esempio, mi aprì gli occhi su come era la vita degli italiani che vivevano in montagna durante l’occupazione tedesca. Guardare poi la Loren in tv quando ringraziò l’America per l’Oscar da casa in accappatoio bianco, non avendo potuto partecipare alla cerimonia di persona, mi fece innamorare della vostra fantasia e del vostro romanticismo. Se la mia anima è stata toccata, e continua ad esserlo ancora oggi, lo si deve proprio alle foto di Di Paolo, veri e propri versi dell’età dell’oro e della poesia romana”. Gli piace così tanto, aggiunge, “perché meglio di chiunque altro è stato protagonista e testimone di un’epoca in cui tutti avevano in tasca la ricchezza della fantasia”.

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Divertente, nel documentario, il momento in cui Di Paolo spiega a suo nipote chi è “la signora della foto” (la Lollobrigida) o “quel signore che ha scritto Gli Indifferenti” che non conosce, seguito dai racconti del Ballo Pallavicini, “un safari fotografico”, il primo scoop fotografico da lui realizzato “in cui gli uomini sembravano delle mummie”, anticipatori di stili e tendenze (“Il Gattopardo, dirà, è venuto dopo”). Weber racconta anche come fu salvato Di Paolo quando aveva 4 mesi “con un bagno nel Negramaro” o la sua somiglianza nello stile con un altro fotografo ultranovantenne come Tony Vaccaro. “Sono stati due grandi ‘armati’ di Leica, ma sono e resteranno due bambini desiderosi di tutto”, aggiunge Weber. “La bellezza, li ha salvati, mi ha salvato”, aggiunge. “Sono sempre stato circondato dalla bellezza, sin da quando ero piccolo. Il merito va ai miei genitori – bellissimi anche loro – che me ne hanno insegnato il giusto valore. Sono stato e sono fortunato, perché ne sono circondato, grazie all’amore che ho dalla mia famiglia, dalle persone a cui voglio bene, dai miei tanti animali tra gatti, cani e uccelli. A quanto pare, però, nel mondo, è posh, è trendy, fare qualcosa di brutto. Non si capisce davvero perché sia trendy fare tutto ciò che è trash, fare qualcosa di brutto, dalla moda alla politica, eppure la bellezza c’è: è solo coperta da un velo che basta sollevare per poterla apprezzare al meglio. Togliamolo quel velo, è giunto il momento”.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.