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Btp e compagni, è se fosse arrivata la volta buona di vendere!

La fase di correzione manifestata nell’ultimo mese dal Btp future ha assunto caratteristiche abbastanza particolari. Per la prima volta da tanto tempo infatti si assiste a una prolungata, sebbene non accentuata, pressione ribassista, con la quotazione scesa dai quasi 141 di inizio aprile ai 137,8 di venerdì scorso. Il trend - non allarmante di per se stesso - si è realizzato però in assenza di uno specifico fattore di crisi. I cali evidenziatisi a inizio dicembre 2015 e nella prima settimana di febbraio avevano trovato invece motivi precisi per svilupparsi e in entrambi i casi una seduta, rispettivamente il 3 dicembre e l’8 febbraio, si era rivelata decisiva nell’innestare la marcia indietro, poi subito disinserita. Ora si registra un movimento meno concentrato nel tempo e privo di un preciso campanello d’allarme. O forse causato da tanti timori latenti.

Gli indicatori prevedono volatilità in aumento

E’ probabile che nelle prossime settimane si assista a una maggiore volatilità rispetto agli ultimi mesi, così come d’altra parte manifesta in maniera netta il Bund, entrato in una fase di pendolarismo acuto. La domanda, che però molti piccoli e medi investitori si pongono, è se l’intervento della Bce (Toronto: BCE-PA.TO - notizie) nell’acquisto di titoli di Stato consenta di prevedere ulteriori margini di compressione dei rendimenti e quindi di rialzo delle quotazioni. I grafici dicono che si è arrivati ai livelli massimi e segnalano una strana correlazione fra i future dei bond europei e di quelli d’oltre Oceano. Il tutto lascia intendere che la volatilità si manifesterà all’interno di una fascia di fluttuazione non troppo accentuata, salvo che…

Il potenziale rischio di un fattore deflagrante

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Salvo che qualche notizia faccia crollare la fiducia nell’intervento della Bce. Se ciò avvenisse – come d’altra parte era accaduto in parte all’inizio dell’anno – l’effetto bomba risulterebbe pesante, con possibili candeloni rossi ancora più accentuati di quelli visti nelle sedute super negative. In altre parole la compressione dei rendimenti trova riscontro in un’esasperata fiducia dei mercati nel ruolo della Banca centrale europea nel sostenere i corsi di Btp e compagni. Una situazione lampante ma non sufficientemente considerata come rischio reale e che può portare a sole due vie di uscita: una prima consistente in una programmata decompressione di medio termine, guidata da Francoforte; una seconda risultante da una caotica corsa alle vendite, imprevedibile nei tempi. Difficile dire quale abbia maggiori possibilità di manifestarsi nel corso dei prossimi 12-24 mesi. Certo è che limitarsi a confidare, in un quadro così complesso, sul flusso cedolare di titoli magari a elevato rendimento ha avuto senso finora, ma ne avrà sempre meno in futuro. Il motivo di incertezza sta infatti nell'eventuale irrazionalità dei mercati, pilotata magari da abili mani.

Vendere solo in presenza di un piano preciso

Un Btp 5,25% su scadenza 2029 (Isin IT0001278511) in quotazione a 140 non conviene più, come altrettanto scarsa logicità l’ha il mantenere in portafoglio un Btp 1,05% su scadenza 2019 (Isin IT0005069395). Due casi soltanto di un quadro generale che deve far meditare e agire in base a un preciso piano. Bisogna cominciare ad anticipare le scosse telluriche, impostando vendite sui livelli potenzialmente più alti oggi riscontrabili sul mercato. Trasferendo magari parte di quanto detenuto in Btp o altri titoli europei a tasso fisso su obbligazioni a tasso variabile o indicizzate all’inflazione. Queste due categorie sono state quasi del tutto trascurate negli ultimi mesi, ma cominciano a tornare nei portafogli dei gestori professionali. Un’altra parte può essere indirizzata su bond a tasso misto di varie banche europee, con quelle italiane in primo piano. Proposte in forza solo da poco tempo, quotano in molti casi sotto la parità e consentono un’elevata diversificazione di emittenti, grazie a lotti minimi bassi. Non meno interessante l’opzione di alcuni Etf a ridotto rischio, riferiti a obbligazioni “high yield” su brevi scadenze (meglio se con la copertura di cambio) o a tasso variabile o a titoli di Stato ma con vita residua modesta (per esempio 1-3 anni), dove la compressione dei rendimenti ha poco spazio per deflagrare.

Due numeri dicono tutto

Per capire il reale rischio che corre ogni patrimonio obbligazionario – piccolo o grande che sia – occorre valutare la situazione di ciascun titolo. Grazie ai vari strumenti disponibili su siti Internet o anche su alcune piattaforme di trading si può calcolare il rendimento reale attualizzato di ciascun bond e disporre del dato riferito alla “duration”, cioè alla sensibilità al variare dei tassi. Se il secondo è maggiore del primo attenzione! Qualcosa non va, soprattutto nel caso il divario sia netto, come avviene per molti Btp a elevata cedola dalla lunga vita residua. Tornando ai titoli prima citati ecco, per esempio, che il 2029 oggi rende l’1,9% con una “duration” di 10,4 e che il Btp 2019 rende lo 0,15% con una “duration” 3,5. In casi simili meglio avviare un piano di alleggerimenti nel tempo. Nel (Londra: 0E4Q.L - notizie) caso invece il rendimento reale sia maggiore della “duration” si può stare più tranquilli. Il problema è che di Btp e altri titoli di Stato in grado oggi di soddisfare la seconda condizione ce ne sono davvero pochi. Il rischio quindi è alto e nessuno vi avvertirà nel caso dovesse trasformarsi in un ordigno. D’altra parte è noto il proverbio che dice “meglio prevedere che curare”. Ecco si adatta molto bene alla situazione attuale.

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