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Cambio di strategia per gli statali: dallo smart working all'ufficio (grazie al green pass)

06/09/2011 palazzo Vidoni sede del ministero della Funzione Pubblica (Photo: Cristiano MinichielloCristiano Minichiello / AGF)
06/09/2011 palazzo Vidoni sede del ministero della Funzione Pubblica (Photo: Cristiano MinichielloCristiano Minichiello / AGF)

Fosse per Renato Brunetta l’obbligo del green pass non dovrebbe essere esteso solo ai dipendenti pubblici, ma anche al lavoro privato. E questo perché - è il ragionamento del ministro per la Pubblica amministrazione - la certificazione verde non è solo uno scudo protettivo contro il contagio Covid, ma lo strumento necessario per un rimbalzo economico che tale può diventare solo se lo sforzo è corale. Un rimbalzo è già in corso, certificato dall’Istat che parla di una “crescita sostenuta” del Pil nel secondo trimestre (+2,7% rispetto al primo e +17,3% rispetto allo stesso periodo di un anno fa), ma quello a cui si riferisce Brunetta è un salto strutturale, capace di trasformare la crescita in una ripresa stabile e duratura. Così, a bocce ferme, con milioni di lavoratori ancora in smart working, questo salto non si fa. Se il ministro della Salute Roberto Speranza lancia l’idea dell’estensione dell’obbligo del green pass nella Pa è per ragioni sanitarie, legate a un upgrade della campagna vaccinale. Brunetta aggiunge l’elemento della sicurezza economica, che a sua volta fa da apripista a un nuovo intervento sulle modalità di lavoro dentro gli uffici pubblici.

Nel comunicato stampa a commento dei dati dell’Istat c’è un passaggio indicativo: “Questa crescita - scrive il ministro - potrebbe essere addirittura superiore se si ripristinerà la modalità ordinaria di lavoro in presenza, tanto nel pubblico quanto nel privato”. Non sfugge il cambio di prospettiva rispetto alla previsione, ancora vigente, che fu decisa dal Conte 2. Messa nero su bianco il 12 marzo dell’anno scorso dall’allora ministra alla Funzione pubblica Fabiana Dadone, quota 5 stelle, nella direttiva n.2/2020. Punto 3: “Le pubbliche amministrazioni, anche al fine di contemperare l’interesse alla salute pubblica con quello alla continuità dell’azione amministrativa, nell’esercizio dei poteri datoriali assicurano il ricorso al lavoro agile come modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa”. Tradotto: si lavora da casa, andare in ufficio è la condizione straordinaria. Cambiare, anzi ribaltare, questa impostazione, che potrebbe trovare forma in una nuova direttiva, significa dire che il lavoro in presenza è lo standard, mentre lo smart working è l’eccezione.

È vero che lo smart working semplificato nella Pubblica amministrazione è stato esteso fino al 31 dicembre, ma è altrettanto vero che dopo lo stop all’obbligo della quota del 50%, deciso a fine aprile, gli uffici sono liberi di organizzarsi come vogliono. Se questa volontà viene accompagnata da un’indicazione da parte del Governo, appunta quella di considerare il lavoro in presenza come la modalità ordinaria, viene da sé che si può generare un comportamento in tal senso da parte delle singole amministrazioni pubbliche. In questo modo si chiuderebbe il cerchio della rottamazione della logica delle quote, voluta dai grillini, e che però oggi risulta disallineata rispetto al trend del Paese per almeno due ragioni. La prima è che la quota non permette di misurare l’efficienza dello smart working. La seconda, che si lega al ragionamento sulla blindatura economica, è che la domanda dei servizi è destinata ad aumentare nei prossimi mesi, in linea con una situazione epidemiologica che, al netto delle varianti, è in miglioramento. La scuola, dove è stato introdotto l’obbligo del green pass, è il test, gli altri comparti del pubblico impiego rappresentano il secondo tempo di una strategia che per ora trova d’accordo Brunetta e Speranza, ma che arriverà presto sul tavolo del Governo nel suo complesso.

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Ancora troppo presto, spiegano fonti governative di primo livello, abbozzare un ragionamento sul sistema sanzionatorio che potrebbe accompagnare l’obbligo del green pass per gli altri statali, in linea con quanto previsto per una larga fetta della stessa platea - il personale scolastico - a partire dal primo settembre. Tra l’altro il tema andrà condiviso con i sindacati e con gli enti locali e gli attriti dei giorni scorsi tra Cgil, Cisl e Uil e il Governo sul green pass per lavorare sono assopiti, ma non evaporati. Anche se nel fronte sindacale sta prendendo forma un ragionamento di apertura. Michelangelo Librandi, segretario generale della Uil-Fpl, dice a Huffpost: “Se il Governo dovesse introdurre l’obbligo del green pass per tutti i dipendenti pubblici non avremmo nulla in contrario”. Librandi aggiunge che è però il Governo a doversi prendere in carico questo impegno e ripropone un tema che anche le altre sigle sindacali hanno spinto negli ultimi giorni: “Non vorremmo però che si allentassero le altre misure, come quelle relative ai dispositivi di sicurezza e al distanziamento, perché anche se sei vaccinato rischi comunque di prendere il Covid o di veicolarlo”. Il silenzio della Cgil e della Cisl è la spia di una certa tensione che andrà risolta quando la prenderà in carico Mario Draghi e soprattutto quando si capirà la struttura del regime sanzionatorio in caso di mancato possesso del green pass. Favorevole anche la Flepar: “Sì al green pass come strumento sociale di orientamento dei comportamenti a tutela della collettività, quindi da estendere oltre i lavoratori pubblici e da migliorare nella sostanza”, dice la segretaria generale Tiziana Cignarelli. Anche lei, come la Uil, aggiunge: “No a strumentalizzazioni o all’ omissione delle misure di prevenzione e sicurezza del rispetto del distanziamento, dei dispositivi individuali e del ricorso esteso al lavoro agile”.

Ma prima del clima, c’è l’idea. Se il ritorno negli uffici con il green pass è legato alle ragioni economiche di cui si diceva è anche perché l’autonomia delle singole amministrazioni fino ad ora si è risolta in un sostanziale mantenimento dello smart working intorno a una quota del 45-50 per cento, in linea con quel 46% che il monitoraggio della Funzione pubblica ha registrato a settembre scorso. Le percentuali sono lontanissime da quelle prima fase della pandemia (56% e 64%, rispettivamente a marzo e a maggio del 2020), ma anche da quelle della vita negli uffici pre pandemia. A gennaio di un anno fa, prima dell’arrivo del Covid, appena l′1,7% dei dipendenti pubblici lavorava da casa. Non siamo ancora a quella “normalità”, ma il segnale che il Governo vuole lanciare, in linea con i vaccini e quindi con il green pass, è quella di iniziare a invertire la direzione di marcia. L’assalto agli uffici, paventato da molti quando fu abolito l’obbligo del 50% per lo smart working, non c’è stato, ma è evidente che un afflusso timido risulta fuori fuoco rispetto alle esigenze del momento. Basta pensare a quanto sia necessaria la presenza fisica di chi lavora negli enti locali per mettere in piedi i progetti del Recovery.

La questione va poi ripulita dall’enfasi con cui in molti, anche dentro al Governo, accompagnano le proprie considerazioni. I dipendenti pubblici in Italia sono 3,2 milioni. Considerando che nel comparto dell’istruzione lavorano 1,2 milioni di dipendenti e in quello della sanità 650mila e soprattutto che la quota dei vaccinati che ha completato il ciclo, secondo l’ultimo report della struttura commissariale per l’emergenza, ha raggiunto rispettivamente l′84,2% il 94,5%, quello che viene fuori è che al momento sono rimasti fuori 138mila lavoratori della scuola e 35mila operatori sanitari (tra l’altro includendo anche il privato). Una fetta residuale, quindi, se si pensa all’impatto che potrebbe avere l’obbligo del green pass. L’attenzione va spostata sulla platea che resta, composta da circa 1,4 milioni di statali: togliendo i dipendenti della Forze armate, dove la vaccinazione corre, restano i lavoratori delle funzioni centrali (i ministeri) e di quelle locali (Regioni, province, Comuni), oltre al resto del personale in regime di diritto pubblico (magistrati, avvocati, procuratori dello Stato). Non ci sono dati a disposizione per capire quanti di loro siano vaccinati e abbiano quindi il green pass, ma secondo le stime della Uil solo il 10% dei dipendenti pubblici non è vaccinato e anche nel Governo si stima una platea “non massiccia”.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.