L'Italia ha bisogno di positività per potersi rilanciare
Le nostre vocazioni culturali e psicologiche sono vincenti: un saggio spiega perché
Il morale della nazione è ai minimi termini, ma forse è proprio questa la congiuntura giusta per pensare a come uscire dalla catatonia e svoltare verso uno scenario diverso, in cui essere italiani è un valore aggiunto per compartecipare i grandi cambiamenti econonomici globali, inclusi quelli della social innovation. In che modo? Valorizzando al massimo i nostri pregi storici e comprendendo che valori come convivialità, empatia, buon gusto sono i nostri assi per continuare ad esportare nel mondo il nostro modello di vita, che è ancora invidiatissimo e agognato.
Una tesi che Francesco Morace, sociologo e giornalista, e Barbara Santoro, esperta di formazione manageriale, spiegano nel saggio “Italian factor. Moltiplicare il valore di un Paese” (Egea 2014, 160 pagg., 17,50 euro, 10,99 e-pub). Basta piangere e delegittimare le vocazoni psicologiche e culturali che ci appartengono, meglio farle diventare leve per cambiare il modo di lavorare in azienda, scoprendo anche una vocazione più sistematica con cui aggredire il resto del mondo. Yahoo!Finanza ne parla con Francesco Morace, sociologo, presidente di Future Concept Lab, in Italia e in Brasile, ma anche consulente di aziende e docente alla Domus Academy e al Politecnico di Milano.
Sgombriamo anche il campo dall'idea che l'"italian factor" sia il made in Italy tout court oppure uno slogan; piuttosto mira a essere un sistema vivo di rappresentazione che bisogna mettere a punto. Spiega Morace: "L 'uso di questa definizione è volta a incoraggiare, è una sorta di appello agli imprenditori e agli italiani perché valorizzino maggiormente le proprie qualità. Un fattore in un'equazione matematica è l'elemento che moltiplica il valore; quello che noi non riusciamo a fare. Fossimo americani avremmo nell'ultimo secolo moltiplicato per dieci il valore che abbiamo e invece la nostra cultura nazionale è quella da un lato di lamentarci e dall'altro di autoflaggellarci. Non abbiamo quella lucidità e quella forma di intelligenza strategica che riesce a vendere nel mondo quello che gli altri ci riconoscono; è un paradosso perché in genere si cerca di vendere qualcosa che non è poi così brillante. Noi invece, anche per un eccesso di frammentazione, non siamo in grado di valorizzare le nostre qualità".
Tra i "fattori" italiani vincenti spicca anche quella convivialità che per tempo è stata vista come un elemento di disturbo della produttività, in una visione anglosassone delle logiche inerenti ai meccanismi della filiera produttiva.
Ma, spiega l'accademico, "la cosa molto interessante in questo cambiamento che definisco radicale è che la dimensione verso cui stiamo andando è molto più vicina, in sintonia, con le nostre qualità e capacità di quanto non fosse dieci o venti anni fa. Fino a qualche anno fa si era convinti che l'unico modo di operare efficacemente sia a livello aziendale che finanziario fosse il rigore del numero. Oggi si sta scoprendo che molto più importante è moltiplicare le relazioni, ovvero riuscire in modo empatico a far passare dei messaggi che invece i numeri lasciano abbastanza freddi. Lo spiego anche agli studenti: in Italia, nelle aziende, le decisioni strategiche non si prendono nelle riunioni ma spesso alla macchinetta del caffè, dove si creano le occasioni in cui si accende la scintilla. Dobbiamo quindi riconoscere che i paradigmi stanno cambiando, e che questo cambiamento non deve essere vissuto come una minaccia, ma come cambiamento verso le nostre qualità e non più secondo la visione anglosassone". Se il futuro è una strada da percorrere in cui gli italiani dovranno, nelle imprese, nel mercato, capire come interpretare le tendenze del sistema globale, per Morace "siamo a metà del guado, da un lato per fortuna abbiamo giovani generazioni che cominciano a viaggiare, ragazzi che cominciamo ad affrancarsi dalla visione provinciale, fondata sul modello mamma-casa- territorio. L'unico modo di capire quanto gli altri desiderano il nostro modo di vivere è andare da loro, avere almeno un'esperienza all'estero per guardare all'Italia con nostalgia ma anche per avere l'opportunità di nutrire il mondo di quello di cui noi siamo capaci".
E di cosa sono capaci gli italiani? Nel libro non mancano gli esempi forti, per dimostrare che con l'Italian Factor puoi conquistare il globo, coniugando valori diversi ma complementari, nel segno di virtù tricolori, meglio se legate al territorio: è il caso di Ferragamo, Eataly, Cucinelli, Yoox, Moleskine. Il cibo, la moda: non rischiamo di chiuderci in uno spazio ristretto, a fronte delle sfide? "Bisogna conciliare la tradizione con la grande innovazione. Yoox fa proprio questo, mette al centro la nostra tradizione legata all'abbigliamento, utilizzando tecnologie e modelli di business avanzati legati al mondo del web. Non bisogna pensare che il futuro sia snaturare la nostra vocazione, questi sono i mondi vitali per eccellenza, tutti noi viviamo di cibo, di abbigliamento, quindi essere al centro di questi sistemi è e continuerà ad essere strategico. Il problema è che non possiamo pensare di farlo partendo dal nostro modo di produrre e lavorare che è superato, e bisogna rinnovare, ringiovanire. Giovani e anziani possono portare avanti una rivoluzione importante, perché le generazioni più mature possono trasferire la maestria, la competenza a ragazzi che si appassionano a un tema centrale che va rigenerato usando le nuove tecnologie, viaggiando, confrontandosi col mondo".
E il mondo spesso bussa alla porta portando via i marchi. L'italianità è però connessa alla proprietà dei marchi o alla filiera? E' giusto lamentarsi o è sintomo di provincialismo? Risponde il sociologo: "Credo che queste vicende siano la dimostrazione evidente di mancanza di pensiero strategico, non capire la forza che potremmo avere se solo riuscissimo a modernizzare le nostre aziende; gli stranieri quasi mai delocalizzano, tengono la filiera in Italia ma adottano le loro modalità straordinariamente efficaci di marketing, di comunicazione; lo dimostra il caso Gucci, laddove un gruppo francese ha quella capacità, quel French Factor, di moltiplicare il valore che noi siamo in grado di produrre; le filiere sono da noi, ma non riusciamo a capire che dobbiamo difenderle e rafforzare per combattere la battaglia della nuova globalizzazione. La produzione rimarrà anche in Italia ma le decisioni sono prese in altre realtà, in altri Paesi, quindi il pensiero strategico è un altro. E' grave che avvenga ed è grave cercare di sminuire dicendo che i brand continuano a funzonare, di fondo c'è lo spostamento di potere strategico e politico in altre realtà".
Per moltiplicare il valore di un Paese, quindi, e dei suoi prodotti, bisogna guardare a quegli elementi capaci di attivare l'italian factor, e approntare uno standar replicabile di italianità, ovvero i brand e i prodotti "devono avere capacità espansiva maggiore. Il caso di Eataly, che raccoglie prodotti di filiera corta, che per definizione non possono essere eccessivamente moltiplicati, è emblematico. Farinetti ha capito, da retailer, che in un grande contenitore universale si può far convivere e dare forza espansiva anche a piccole realtà locali. E'una logica win win, dove vincono tutti, piccoli e grandi. E' quello che l'Italia non è mai riuscita a fare. Singolarmente sappiamo fare ognuno la cosa migliore e la più bella, ma quando si tratta di fare sistema non ci riusciamo. Lui ha capito che il mondo alimentare poteva proporre questo nuovo modello di business. Oggi si guarda a lui come al grande anticipatore, all'innovatore, altri si stanno convincendo che è possibile fare la stessa cosa. Se non abbiamo qualcuno che ci dimostra come fare, stiamo tutti alla finestra, aspettando qualcuno che ci indichi la via, mentre siamo tutti noi ad avere bisogno di più coraggio per innovare".
Ma il caso Farinetti è la dimostrazione che l'individualismo, altro tratto tipico del carattere nazionale, è la via, in un Paese dove lo Stato non sempre è in grado di supportare il cittadino? "Il caso Farinetti dimostra che si può avere successo nonostante ci siano problemi, che per altro ci sono, non voglio sottovalutare i problemi ma dico che in Italia è sempre stato cosi, non è una novità. Chi ha avuto successo ha avuto carattere, personalità". Non si può però negare che un cambiamento, magari nel campo normativo, aiuterebbe chi magari ha meno cervello, e carisma, di un Farinetti, ma vuole comunque fare la sua ventura.
Ribatte Morace: "Anche questo in Italia c'è sempre stato. Da noi, nel momento in cui il grande imprenditore illuminato ha l'idea, non è difficile creare la squadra, i team. Il problema è avere sufficienti risorse e soggetti che abbiano il coraggio di rompere questa sorta di omologazione lamentista che ci propone l'dea che non si possa fare nulla se non si muove la politica. Ma la politica in Italia non ha mai avuto questo ruolo. Poi, se dovesse avvenire, siamo tutti contenti ma secondo me non sarà mai quello l'elemento vincente, scatenante, che invece è sempre personale. Ma non nel senso anglosassone dell'individualismo, tu da solo, scelto da Dio, ma personalista nel senso in cui ciascuna persona ha una famiglia, un gruppo di riferimento, un territorio a cui guardare. Un personalismo che, per moltiplicare il valore del Paese, deve maturare"