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Caro gas, la tempesta perfetta dell'agroalimentare

Agroalimentare (Photo: Getty&HP)
Agroalimentare (Photo: Getty&HP)

Il caro energia è solo una delle molteplici facce di quella che nel settore dell’agroalimentare chiamano senza mezzi termini “la tempeste perfetta”. Il gas, com’è noto, costa sempre di più e si tira dietro il prezzo dell’energia elettrica ma non è l’unica grana con cui devono fare i conti le imprese della filiera del food. Ci sono i colli di bottiglia nelle catene di fornitura e il rialzo dei noli per il trasporto container che fanno salire a loro volta i prezzi delle materie prime, alcune già alle prese con rincari causati da criticità stagionali. Nell’arco di un anno il prezzo del grano duro è raddoppiato, quello del tenero è cresciuto del 60%. L’elenco è bello lungo: secondo i dati di Coldiretti, i prezzi dei cereali sono cresciuti di oltre il 23% in un anno, i prodotti lattiero caseari del 20% circa, lo zucchero di oltre il 40% e i grassi vegetali oltre il 50%. Non è finita, perché ogni azienda dell’agroalimentare ha una lunga serie di costi da affrontare e sono quasi tutti generalmente in aumento. Un esempio sono quelli per gli imballaggi, della plastica per i vasetti dei fiori fino all’acciaio per i barattoli, dal vetro per i vasetti fino al legno per i pallet da trasporti e alla carta per le etichette dei prodotti che incidono su diverse filiere, dalle confezioni di latte, alle bottiglie per olio, succhi e passate, alle retine per gli agrumi ai barattoli smaltati per i legumi.

Materiali prodotti in buona parte da aziende altamente energivore e quindi ancora più colpite dai rincari. “C’è un insieme di fattori che ha colpito il nostro settore”, dice all’HuffPost Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, la fondazione che riunisce il Made in Italy agroalimentare, “ed è ben fotografato dall’Istat in un dato diffuso qualche giorno fa: a ottobre i costi di produzione dei beni alimentari sono aumentati in media del 5%, in alcuni casi di meno e in altri anche del 20 o 30%. Ma a fronte di questi rialzi non è corrisposto un analogo aumento dei prezzi al consumo, saliti solo dell′1% in media. Questo vuol dire una cosa: di questo passo le aziende italiane o iniziano a importare dall’estero prodotti di più scarsa qualità, o chiudono”.

Il gas, d’altro canto, è fondamentale nel processo di produzione di fertilizzanti, e per questo sono saliti alle stelle i prezzi dei concimi, con l’urea passata da 350 euro a 850 euro a tonnellata (+143%), il fosfato biammonico dap raddoppiato (+100%) da 350 a 700 euro a tonnellata, mentre prodotti di estrazione come il perfosfato minerale registrano +65%. Non si sottraggono ai rincari anche i fertilizzanti a base di azoto, fosforo e potassio che subiscono anch’essi una forte impennata (+60%). L’aumento dei costi energetici riguarda anche il riscaldamento delle serre per fiori e ortaggi ma ad aumentare sono pure i costi per l’essiccazione dei foraggi, delle macchine agricole e dei pezzi di ricambio per i quali si stanno verificando addirittura preoccupanti ritardi nelle consegne.

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Tuttavia per una azienda italiana trasmettere anche solo una parte di questa lunga serie di rincari ai prezzi al consumo non è così semplice. C’è un muro che si chiama Gdo, la grande distribuzione: “Stiamo trattando con i principali operatori della Gdo per un aumento di 20 centesimi al chilo per la pasta, ma non credo comunque sarà sufficiente”, ha detto qualche giorno fa Francesco Divella, socio di Divella spa: “Il costo dell’energia ha avuto un incremento spaventoso come pure i costi dei noli marittimi e così via. Ci troviamo ai limiti della redditività zero. Per questo stiamo trattando con i grandi operatori della Gdo per adeguare i prezzi ma la controparte fatica ad accettarli. Ora stiamo lottando per un aumento di 20 centesimi al chilo ma tra breve ci troveremo costretti a chiederne un altro”.

Un muro difficile da scalfire per le grandi aziende, figurarsi per quelle più piccole. “Da un lato”, spiega Scordamaglia, “c’è una parte della Gdo che teme di veder calare i volumi e le vendite se aumentano i prezzi, e quindi cerca di preservare le sue marginalità. Dall’altro, ci sono anche operatori che in un contesto di aumento dei prezzi non solo non vogliono rialzarli a loro volta ma spingono per abbassarli, mediante il ricorso a prodotti civetta per attirare nuovi clienti”. Così, dice il consigliere di Filiera Italia, si innesca una spirale pericolosa, “che può portare alla scomparsa di pezzi di filiera nazionale, basti pensare che l′88% delle pmi dell’agroalimentare ha meno di dieci dipendenti, per non parlare delle aziende agricole”.

Le criticità interessano anche un prodotto tra i più rappresentativi del made in Italy come il vino che ha visto un incremento del costo del 30%. Una “bolletta” per il settore di oltre un miliardo di euro, che costringerà le imprese entro breve a rivedere i listini precedentemente accordati con distributori e importatori, ha detto qualche giorno fa l’Unione italiana vini (Uiv). “I costi alle stelle riguardano tutto, dalle materie prime secche al prodotto, quindi dal vetro alle etichette, dai cartoni alle chiusure delle bottiglie, dai trasporti all’energia elettrica fino al prezzo medio del vino stesso, che complice una vendemmia a bassi volumi sale in diversi casi a +40% rispetto allo scorso anno. Un combinato disposto che, secondo il segretario generale, Paolo Castelletti “costa al settore anche più di quanto stimato solo un mese e mezzo fa: allo stato attuale la ‘bolletta’ supplementare per il settore supera ormai un miliardo. È del tutto evidente - ha aggiunto il segretario dell’associazione che rappresenta l′85% dell’export italiano del settore - che le imprese saranno costrette entro breve a rivedere i listini precedentemente accordati con distributori e importatori. Una partita le cui conseguenze non saranno semplici da gestire, perché rischia di stritolare le aziende più deboli con il pericolo di generare una pericolosa spirale al ribasso”.

A breve arriverà in soccorso una nuova norma per i produttori italiani: dal 15 dicembre infatti non sarà più possibile imporre condizioni contrattuali eccessivamente gravose, come ad esempio la vendita di prodotti agricoli e alimentari a prezzi al di sotto dei costi di produzione. È quanto prevede il decreto legislativo di attuazione della direttiva europea che vieta le pratiche sleali nei rapporti commerciali della filiera agroalimentare, sia tra imprese che in materia di commercializzazione dei prodotti agricoli. Saranno 27 le pratiche commerciali sleali vietate, tra cui, oltre al sotto costo di produzione, le vendite dei prodotti agricoli e alimentari attraverso il ricorso a gare e aste elettroniche a doppio ribasso, il non rispetto dei termini di pagamento (non oltre 30 giorni per i prodotti deperibili), l’imposizione all’acquirente da parte del fornitore di prodotti con date di scadenza troppo brevi.

“Fino ad oggi abbiamo provato a fare appelli affinché certe cose, certe criticità con cui facciamo i conti, a maggior ragione in questo periodo di rialzi impressionanti dei costi, venissero capite. Da metà dicembre avremo questo nuovo strumento nel contrasto delle pratiche sleali” che potrà mitigare l’impatto del caro gas ed evitare la vendita sotto costo. “Ma resta sempre il caro energia e i problemi logistici legati ai colli di bottiglia. Se la filiera del food viene lasciata sola, si diventa dipendenti dalle importazioni e i consumatori acquisteranno prodotti di minore qualità da altri Paesi, per giunta prodotti con tecniche meno sostenibili di quelle utilizzate da noi: secondo la Fao per produrre ad esempio un chilo di carne bovina in Italia si emette un quinto delle emissioni di CO2 rispetto alla produzione in Asia o Sud America”.

“Noi siamo la seconda manifattura europea”, rispetto ai costi dell’energia “certi problemi per noi sono più pesanti che per altri”, ha detto oggi il ministro del MiTe Roberto Cingolani. “Ci sono Stati che pagano 270 euro a magawattora e altri ne pagano meno della metà: c’è oggettivamente una forte discrepanza. Ognuno di noi ha un problema, serve un compromesso che consenta a tutti di fare la transizione in maniera sostenibile”. Tuttavia è impensabile di andare avanti di questo passo: “In manovra ci sono tre miliardi sulle bollette e per adesso andiamo sulla contingenza ma non si può mitigare ogni trimestre per due-tre anni. Quindi se dovesse uscir fuori che il gas è strutturalmente più costoso, dovremo lavorare su altri concetti che vanno a vedere il calcolo della bolletta”.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.