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Cash sarà ancora King. Anche per il resto dell'anno

Dopo l'entusiasmo quasi folle che ha creato l'arrivo di Trump e il suo iperattivismo per riuscire a concretizzare nel minor tempo possibile tutte le promesse elettorali, adesso John Maxfield, e non solo lui, sta iniziando ad avanzare qualche preoccupazione circa la sempre più stretta e sensibile interazione tra politica e mercato azionario.

Chi ci sta ripensando?

E' il caso ad esempio, di Ray Dalio, presidente e amministratore delegato di Bridgewater Associates, il più grande hedge fund al mondo. Inizialmente Dalio aveva ritenuto che i vantaggi in arrivo dalle politiche pro-business di Trump avrebbero presto compensato i limiti del suo innegabile populismo, primo fra tutti, quel protezionismo che avrebbe creato l'altrettanto discussa tassa sulle merci straniere in entrata. Ma il suo ottimismo, con il tempo, non si è rafforzato. Vicino alle sue posizioni è anche un altro investitore di alto profilo, Seth Klarman, fondatore e CEO di Baupost Group, un hedge fund con 30 miliardi di dollari di asset in gestione, nonché, stando alla definizione di Andrew Ross Sorkin, uno degli investitori più influenti e di maggior successo di cui si sia sentito parlare. Ebbene Klarman, personaggio solitamente schivo e che non ama molto le luci della ribalta, non ha esitato a salire in cattedra per avvertire, nella sua ultima lettera agli azionisti, che le valutazioni delle azioni a Wall Street sono "pericolosamente alte", un trend che si è esacerbato immediatamente dopo le elezioni presidenziali. Questo perché, come dice lui stesso, “Gli investitori esuberanti si sono concentrati sui potenziali benefici dei tagli fiscali, mentre gran parte di loro ha ignorato i rischi provenienti dall'America stessa come il protezionismo e le nuove barriere commerciali".

Il rally innegabile di Wall Street

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Ma per quanto il fattore Trump legato a quello di incertezza e volatilità future sia difficile, se non impossibile da negare, resta l'altrettanto incontrovertibile verità che i mercati statunitensi sono saliti proprio sulla scia delle elezioni presidenziali e sull'aspettativa che la squadra del presidente sia in grado di condurre in porto con il Congresso, le difficili trattative sia per i tagli fiscali, che taglierebbero di netto le entrate statali, che per gli investimenti nelle infrastrutture. Infatti, come è sottolineato da John Maxfield nella sua analisi, storicamente il partito repubblicano è da sempre contrario ad un interventismo radicale da parte del governo e ancora di più a investimenti che potrebbero impattare in maniera particolarmente forte su fattori come Deficit, debito e inflazione. Non solo, ma non più tardi della scorsa settimana i rappresentanti repubblicani al congresso hanno già fatto sapere che ogni investimento pubblico, compreso quello per la costruzione del Muro in Messico, muro che non è affattto certo che il governo messicano pagherà, dovrà essere compensato con tagli sulla spesa da farsi in altre voci, neuralizzando così il tutto. Inoltre da un punto di vista puramente teorico, un investimento da 1000000000000 nelle infrastruttura gioverebbe solo se l'economia si rimettesse in moto incrementando la domanda anche a livello globale. Questa è l'essenza del keynesismo. L'ultima nota arriva quando Maxfield fa notare come l'incertezza del futuro potrebbe distruggere tutto nel momento in cui la Casa Bianca dovesse dare idea di non avere progetti precisi oppure il Congresso dovesse dare battaglia durante il resto dell'anno. Per questo motivo si può facilmente immaginale un calo delle quotazioni sull'onda della sfiducia e quindi tante possibili occasioni d'acquisto. Come? Con una buona quantità di liquidità: in fondo Cash Is King. Forever!

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