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Censura mai: nemmeno alla letteratura dozzinale, e alle idee che ci ripugnano

Hp (Photo: Hp)
Hp (Photo: Hp)

Ora che la mannaia censoria si sta abbattendo sulla buona letteratura, sul grande cinema, addirittura sui classici dell’arte e del pensiero, cresce, per fortuna, il numero delle persone preoccupate dal dilagare del nuovo oscurantismo. Mi fa piacere, ma sono d’accordo solo in parte, perché il principio della libertà d’espressione non è applicabile solo ai buoni prodotti della cultura ed è facile proclamare la tolleranza soltanto per ciò che sentiamo affine e che ci piace. La sfida è essere volterriani e liberali anche con ciò che non ci piace, anzi ci orripila. “Libertà è poter difendere ciò che non penso”, scriveva un gigante della cultura antitotalitaria come Albert Camus, e nel mio piccolo sono d’accordo con lui. Non bisogna applicare la censura né alla grande arte, ma nemmeno alle idee che ci ripugnano, alla letteratura dozzinale, ai pensieri volgari, al cinema orrendo, ai giornali spregevoli, alle vignette blasfeme, ai testi osceni delle canzoni, alla cultura di pessimo gusto, al linguaggio pacchiano, alle immagini di bassa lega.

Non dobbiamo equiparare a reato tutto ciò che consideriamo orribile e grossolano. Per la semplice ragione che nessuno è legittimato ad ergersi a giudice del gusto e del giusto, del corretto e dell’accettabile e a demandare alla polizia e alla magistratura la missione di contrastare ciò contro cui dovremmo invece combattere con argomenti, idee, sarcasmo, passione culturale, antagonismo militante. Chi invoca la censura è anche pigro: si esenta dalla necessità di impegnarsi, delegando allo Stato compiti di pubblica pedagogia (con annesse manette) che non gli competono. Censura, mai: non è più chiaro? E su le maniche.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.