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Cento di questi anni

L’aumento di centenari e supercentenari segna l’estrema longevità che contraddistingue sempre più la demografia attuale. È un fenomeno mondiale, ma evidente in Italia. E rispecchia nuovi anziani che provengono da ambienti, lavori e consumi più sani.

Quattro certezze per il futuro

L’ultimo sforzo previsivo dell’Istat in tema di demografia estende lo sguardo al lontano 2065 e contiene quattro certezze.

La prima è data dal calo della popolazione, nel caso mediano addirittura di sette milioni di italiani in meno rispetto a oggi. La seconda certezza è data da un saldo naturale che sarà sempre deficitario (fino alle 400mila unità annue in meno nel lungo termine) a causa di una natalità cronicamente insufficiente a contrastare i decessi. La terza certezza è rappresentata dall’invecchiamento, prodotto dal naturale passaggio delle numerose coorti dei baby boomer (i nati tra il 1961 e il 1975) verso la tarda età attiva (40-64 anni) e l’età anziana (sopra i 64 anni). Il picco, stima l’Istat, si raggiungerà verso la metà del secolo, quando gli ultrasessantacinquenni saranno un terzo della popolazione.

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La quarta certezza è data dalla longevità, cioè da quei continui guadagni di anni di vita che respingono sempre più in là Thánatos, la morte. Nelle ultime quattro generazioni, in Italia, la vita media si è allungata di circa tre mesi all’anno. Uno “sconto” ragguardevole, pari al 25 per cento della vita. La tendenza sembra continuare: l’Istat prevede infatti che entro il 2065 la vita media potrebbe arrivare a 86,1 anni per gli uomini e a 90,2 per le donne. Una longevità che porterebbe la quarta età (dagli 85 anni in su) a passare dall’attuale 3,3 per cento della popolazione al 7,3 nel 2050, fino al 9,3 per cento del 2065.

Non solo si stanno aggiungendo anni alla vita, ma anche vita agli anni. Ciò avviene in due modi. Il primo è quello di ritardare l’insorgere delle patologie e di spingerle nella fase finale della vita. È la tesi della compression of morbidity di James Fries che ipotizza che, di fronte a un progressivo allungamento dell’aspettativa di vita (compressione della mortalità), anche l’insorgenza della malattia e della disabilità possa ugualmente venire rimandata. Di (KSE: 003160.KS - notizie) conseguenza, l’invecchiamento comporterebbe una riduzione, almeno relativa, del numero di anni trascorsi in cattive condizioni di salute. Alla compressione della mortalità (transizione demografica) si assocerebbe la compressione della morbilità e della disabilità, con un aumento quindi della durata della vita attiva e della sua qualità complessiva (transizione epidemiologica).

Gioca in tutto questo l’affinamento della capacità diagnostica e terapeutica, una organizzazione sanitaria più efficiente, una cultura della salute che ricorre maggiormente alla prevenzione e ai controlli, ma anche nuovi anziani che provengono da ambienti, lavori e consumi più sani.

La carica dei centenari

L’altra condizione che aggiunge vita agli anni è l’invecchiamento attivo o “giovanilizzazione” degli anziani. È un processo che desenilizza i comportamenti, gli stili di vita e le percezioni stesse degli anziani facendo sì che la cosiddetta terza età sia ormai una sorta di prolungamento della condizione adulta, mentre tendenzialmente la “vera vecchiaia” si posticipa a una quarta età che si pone intorno alla metà dell’ottavo decennio della vita.

In particolare, i centenari – la quinta età – nel 2016 pari a circa 18.800 unità, diverrebbero – dice l’Istat – quasi 72mila alla metà del secolo e 120mila nel 2065. E i cosiddetti supercentenari, coloro che hanno superato i 110 anni, passerebbero dai 22 attuali a 136.

I centenari sono l’avanguardia di una demografia estrema che secondo il Pew Research Center aumenterà a livello mondiale di ben otto volte da qui al 2050. Infatti, mentre oggi i centenari nel pianeta sono 451mila – ed erano appena 95mila nel 1990 – al 2050 dovrebbero essere 3 milioni 676mila. Il motore di questa crescita è data dal netto miglioramento delle aspettative di vita soprattutto di ottantenni e novantenni, i cosiddetti grandi anziani (in Italia le aspettative di vita degli ottantacinquenni negli ultimi tre lustri sono salite di più di un anno). In termini censuari nel 1921 avevamo appena 51 centenari, che arrivano a 122 nel 1951 e a 207 nel 1971. Il grande balzo avviene a partire dagli anni Ottanta: al 1981 sono già 976 per poi raggiungere i 2.548 casi nel 1991, i 5.233 nel 2001 e infine i 15.080 al censimento del 2011.

La crescita dei centenari non è solo un marcatore “di successo” di invecchiamento longevo, ma genera sfide etiche e geriatriche del tutto nuove e non coincide necessariamente con demenze o decadimenti cognitivi (un quinto dei centenari non ne presenta i segni). Sono il frutto di guadagni di vita che premiano soprattutto le età più elevate e – dato che il bagaglio genetico conta tutt’al più per il 30 per cento – rappresentano un indubbio miglioramento dei fattori ambientali in senso lato. Facendo sperare, come afferma uno studio epidemiologico su The Lancet del 2009, che la maggior parte dei bambini (italiani e di altri paesi longevi) nati in questo secolo arriverà ai cent’anni di vita.

Di Vittorio Filippi

Autore: La Voce Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online