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Che potrà la sentenza sulla Trattativa in un Paese di terrapiattisti?

08/10/2009 TRASMISSIONE ANNOZERO NELLA FOTO MASSIMO CIANCIMINO (Photo: Mimmo ChianuraMimmo Chianura / AGF)
08/10/2009 TRASMISSIONE ANNOZERO NELLA FOTO MASSIMO CIANCIMINO (Photo: Mimmo ChianuraMimmo Chianura / AGF)

Su un treno che da Torino mi riporta a Roma, mi imbatto in un signore elegante in là con gli anni. Indossa la mascherina ma la parte superiore del viso me lo denuncia (termine adeguato) come Francesco De Lorenzo, liberale, ministro della Sanità nella Prima repubblica. Gli ho parlato qualche volta al telefono ma non l’ho mai incontrato e poi ne è passato del tempo da quando era una figura pubblica. Lo saluto con qualche prudenza e faccio bene: non è De Lorenzo. “Non si preoccupi - mi dice - anche se il personaggio non gode della mia stima”. Comprendo il rischio e cerco di riparare nelle mie incombenze, ma il mio interlocutore ha l’urgenza di particolareggiare i motivi della disistima: il sangue infetto, i morti di Aids, le tangenti dei colossi farmaceutici, i soldi nascosti nel pouff eccetera. L’interlocutore è cortese e con altrettanta cortesia cerco di spiegargli che sta facendo un casino della madonna, quello del pouff è un altro, De Lorenzo non è mai stato non dico condannato ma nemmeno processato per la questione del sangue, che anzi una legge voluta proprio da De Lorenzo provò a porre rimedio alla questione, ma non c’è verso, il signore, con proprietà di linguaggio e prosa misurata, parte con una filippica che mi sentirei di riassumere così: è tutto un magna magna e processato o no, condannato o no, De Lorenzo resta un mezzo assassino. Mi spiace, mi sono arreso subito.

La verità processuale e la verità storica non coincidono, si sa, ma dopo trent’anni di giustizia dell’intrattenimento siamo alle incontrovertibili verità né processuali né storiche, siamo alle verità del “lo sanno tutti”. Del resto, pochi anni fa, una serie tv narrava le gesta di un giovane poliziotto infettato non per incuria ma per loschi interessi il cui unico scopo è dare la caccia al farabutto ministro competente con le tasche gonfie di mazzette. Ne potrà mandare di rettifiche De Lorenzo: la verità su di lui è già stata stabilita da un formidabile guazzabuglio di inchieste giudiziarie, giornalistiche, televisive, cinematografiche. Lui è quello del sangue infetto, e sotto la sua coscienza giacciono centinaia di morti.

Com’era quella di Jessica Rabbit? “Non sono cattiva, è solo che mi disegnano così”. Ero andato un giorno a vedere in anteprima Suburra, film di Stefano Sollima tratto dal romanzo di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo, una fantasmagorica anticipazione dell’inchiesta mafia capitale. Il film è gradevole, sebbene io l’avessi trovato più un dark fantasy che un film di denuncia, in cui prelati, capibastone e politici si associavano nottetempo in congressi carnali e banchetti attorno a mezzi chili di cocaina, e fra una scopata e una sniffata ordinavano un paio d’omicidi. Quando uscii dissi a Bonini (è un amico, non volevo essere ipocrita) che quella non era Roma. Lui replicò che nulla era inventato: tutti episodi realmente avvenuti. Certamente, il montaggio produce miracoli: dico per iperbole che domattina potrei realizzare un breve documentario mettendo in fila tutti gli incidenti di Lewis Hamilton – tutti realmente avvenuti – e trasformarlo agli occhi del profano in uno incapace di distinguere il freno dalla frizione. Più delle successive sentenze può Suburra, non soltanto il libro e il film, ma il racconto globale che ne è scaturito: mafia capitale è un brand vincente (spiego a beneficio dei testardi: certo che a Roma c’è la mafia, ma fu una puttanata galattica raccontare che la mafia spadroneggiava dal Campidoglio). Se le sentenze dicono il contrario, possono non saperlo e, se lo so, so anche che la sentenza avrà il suo ruolo nel magna magna.

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In un vecchio articolo riproposto oggi dal Foglio, Massimo Bordin (eccone uno che non ha lasciato il famoso vuoto incolmabile, per fortuna ha lasciato una montagna di idee ottime per l’oggi e per il domani) propose un impeccabile parallelo fra la Piovra, lo sceneggiato Rai di una vita fa, il Suburra del tempo, e l’inchiesta sulla trattativa fra Stato e mafia. Da decenni l’offerta cinematografica, televisiva, letteraria, giornalistica, giudiziaria e politica racconta fra festosi lanci di mortaretti una verità alternativa, né fondata su verità storiche né in definitiva su verità processuali, visto che tutti i grandi immaginifici processi, dal bacio di Andreotti a Riina fino alla Trattativa dell’altro giorno, sono stati smontati dai giudici (mai parlare di magistratura in senso generico, se a questo paese resta un appiglio sullo strapiombo del terrapiattismo collettivo, lo si deve a pochi giornalisti alla Bordin e a non rari scatti di orgoglio della magistratura giudicante).

La storia del nostro paese, scritta dalle indagini, dai film, dai libri, dai giornali, è una sconfinata narrazione dove la realtà è andata a servizio della fiction e la fiction della realtà, per cui la Prima repubblica muore con Andreotti abbracciato alla mafia e la Seconda nasce con la mafia abbracciata a Berlusconi, e questo amici colti e avveduti te lo ripetono ogni sera a cena, in una confortante (sconfortante) illusione ottica collettiva, in un pastone di turpitudine con dentro il Quirinale, Palazzo Chigi, i carabinieri, i servizi segreti deviati, la P2, vescovi, militari, grande imprenditoria, mafiosi, gangster, la Cia, poteri occulti vari, tutti associati a delinquere col favore delle tenebre per premere il tallone sulla nuca del povero popolo virtuoso.

Certo che un paese democratico vive di zone opache e pure di incursioni nell’inconfessabile – la casa di cristallo dello streaming è stata abbandonata anche dai campioni dell’onestà dopo un paio di recite malriuscite – ma da qui ad accettare una storiografia patria alla QAnon corre una distanza colmata da noi stessi, tutti insieme, senza che nemmeno il giudice a Palermo fermi qualcuno a indicare il ridicolo in cui si sprofonda. Vattela poi a prendere coi no vax e Freccero.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.