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Chi tocca la casa, muore. La riforma è missione quasi impossibile anche per Draghi

ROME, ITALY - APRIL 25: People stand at their windows and balconies to take part in a 'Liberation Day' flashmob and sing the Italian partizan song
ROME, ITALY - APRIL 25: People stand at their windows and balconies to take part in a 'Liberation Day' flashmob and sing the Italian partizan song

Chi tocca la casa muore! Ogni volta che, negli ultimi trent’anni, si è parlato di revisione degli estimi catastali, ovvero dei valori che il fisco attribuisce agli immobili, da ogni parte si è alzato un incredibile polverone con urla, grida e lamenti sul possibile aumento del carico fiscale sulla casa, e per questo alla fine si è sempre rinunciato alla riforma. Anche il governo Draghi sta cominciando a subire – preventivamente - lo stesso trattamento: è bastato che qualcuno ventilasse la possibilità di inserire nella delega fiscale anche la riforma del Catasto – peraltro chiesta più volte dalla Ue che vorrebbe anche un ripristino dell’imposizione sulla prima casa - per vedere di nuovo alzarsi un fuoco di sbarramento, sostenuto soprattutto dalla destra (Lega e Fi) ma probabilmente più ampio di quel che si vede. Del resto, nel 2014 il governo Renzi aveva avuto dal Parlamento una delega da attuare nei successivi cinque anni per la riforma degli estimi che fu poi miseramente abbandonata. E non era stata (solo) la destra a volerla affossare. Renzi aveva paura delle conseguenze: poiché l’80 per cento degli italiani ha almeno una casa, rivedendo i valori fiscali e portandoli a un livello più corretto il timore di tutti, a cominciare proprio dai politici, era che si potesse avere un indiscriminato e incontrollabile aumento delle tasse sulla casa (Imu, Tasi e Registro). Con prevedibili conseguenze sul consenso.

Oggi si sa soltanto che un gruppo di esperti presso il ministero dell’Economia ha a lungo lavorato per presentare una serie di proposte di revisione, e – data la delicatezza dell’argomento – ha anche avanzato suggerimenti di aumento delle imposte molto graduali (per chi ricade in questa casistica, ma ci sono anche quelli che dovrebbero avere una riduzione), applicando i nuovi estimi in un orizzonte temporale addirittura di decenni. Lo stesso ministro dell’Economia, Daniele Franco, ha rassicurato i parlamentari nell’ultima audizione presso le Commissioni Finanze di Camera e Senato a fine luglio sulla “cautela” e sulla “gradualità” con cui dovrà avvenire l’intera riforma fiscale: non si riferiva in particolare al Catasto, di cui per la verità questo governo non ha mai specificamente parlato, ma potrebbe applicarsi teoricamente anche a questo caso.

Certo, il pasticcio degli estimi catastali è una storica spina nel fianco per l’Italia. Nati a partire dagli anni Trenta, questi valori sono stati attribuiti nel corso dei decenni senza un coerente filo conduttore, e gli stessi parametri sono cambiati nel corso del tempo. Il risultato è un garbuglio inestricabile di valori, in generale tutti inferiori ai prezzi mercato ma in alcuni casi di molto o moltissimo, in altri di poco o nulla. Ne consegue una tassazione disomogenea e frammentata a livello nazionale, e oggi parità di prezzo di mercato un immobile può esser tassato più in un luogo che in un altro. Negli anni passati, nelle grandi città come Roma, Milano, Bologna, Venezia, Firenze e Napoli il fisco ha rivalutato alcune aree centrali per il fatto che proprio queste zone, a cui era stato attributo un valore più basso in tempi più lontani, erano rimaste indietro nella tassazione rispetto alle più recenti periferie. Ora questo stesso Governo ha ripreso il tema della revisione, con un atto d’indirizzo inviato dal Mef alle amministrazioni fiscali in cui si parla di “puntuale aggiornamento degli archivi catastali” in collaborazione con gli enti locali “anche nell’ottica di una più equa imposizione fiscale”.

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Ma l’aggiornamento è una cosa, la riforma un’altra. Pensare che basti aggiornare le rendite di qualche zona o sottozona per risolvere l’immenso problema di una sperequazione epocale è come pensare di portare l’acqua da un lago all’altro con il cucchiaino.

Perché è così difficile portare a termine una riforma complessiva? Per capirlo basta ripercorrere l’ultimo tentativo fatto e abbandonato, quello del governo Renzi. Una commissione aveva ben cinque anni di tempo per ridefinire i valori e varie commissioni censuarie, dove sedevano insieme all’Agenzia del Territorio anche i rappresentanti degli enti locali e delle categorie produttive, avevano lavorato a lungo per definire minuziosamente tutti i parametri, dalla città alla zona, dalla zona al quartiere, dal quartiere alla strada, persino al singolo edificio. E, all’interno dell’edificio, le singole unità immobiliari. Tutto era pronto ma a un certo punto si capì che si era di fronte a uno scoglio insormontabile.

Confrontando i prezzi reali con i valori catastali di tutti gli immobili d’Italia, emergeva chiaramente che a uno stesso prezzo reale potevano corrispondere valori catastali diversi, mettendo in luce le disparità esistenti a livello territoriale. In particolare, secondo un calcolo di qualche anno fa dell’Agenzia delle Entrate, ad avere valori relativamente alti rispetto al prezzo reale, erano Regioni come la Puglia, l’Abruzzo e il Friuli. Qui ci si poteva aspettare una diminuzione degli estimi. Al contrario, in Toscana, Trentino e Campania, gli estimi erano troppo elevati, sempre in relazione al prezzo reale, e dunque si poteva prevedere una loro diminuzione. Alti anche in Liguria e Valle d’Aosta. In una zona intermedia Lazio, Sardegna ed Emilia Romagna. Attenzione al punto: se si abbassano gli estimi in una certa Regione, occorrerebbe aumentare le aliquote per avere lo stesso gettito in quella stessa Regione, ma questo sarebbe probabilmente socialmente intollerabile. Facciamo un esempio: se un contribuente paga oggi il 10 per mille su una certa rendita catastale, se questa si abbassasse l’ente locale dovrebbe portare l’aliquota al 15 o al 18 per mille per mantenere lo stesso gettito. Nessun ente territoriale accetterebbe mai di farlo.

Così la vecchia legge di delega prevedeva un meccanismo perequativo fra le Regioni che avrebbe dovuto travasare fondi dalle Regioni che acquisivano entrate verso quelle che le perdevano. Non c’è bisogno di aggiungere altro per capire che questa riforma non sarebbe mai decollata: ve l’immaginate se il Veneto, ad esempio, avesse contribuito alla perdita di gettito della Puglia?

Ecco così che qualunque tentativo di riformare un Catasto squinternato cozza contro un gioco (anche comprensibile) di veti incrociati.

Ma esiste una soluzione? «Le soluzioni possibili sono infinite – spiega Alessandro Santoro, docente di Scienza delle Finanze all’Università Bicocca di Milano – sarà però la politica a decidere quale portare avanti. Si potrebbe ad esempio scaglionare in tot anni, anche decenni se si vuole, l’eventuale aumento che dovesse emergere. L’importante è che le differenze di prelievo vengano gestite un po’ per volta. Non credo tuttavia che il Paese sia pronto per una discussione di questo tipo. Parlare della tassazione della casa è tabù, e quando vi si fa cenno scatta subito una reazione emotiva, e forse ciò dipende dal fatto che all’80 per cento gli italiani sono proprietari».

Bisogna dunque rassegnarsi al fatto che anche stavolta non se ne farà niente? «Sì, non succederà nulla», dice Giorgio Spaziani Testa, presidente della coriacea Confedilizia, la Confederazione della proprietà edilizia, da sempre fiera avversaria di ogni aumento della tassazione sugli immobili. «Del resto le Commissioni Finanze di Camera e Senato, nella loro indagine conoscitiva sulla riforma fiscale in gestazione al governo, non hanno mai avuto conto di una riforma del Catasto».

Non far nulla, non svegliare il can che dorme sembra dunque, ancora una volta, la soluzione più facile per non creare una conflittualità sociale e politica su un tema scottante come quello della casa. «Però non far nulla è fare qualcosa lo stesso», spiega chiaramente Luca Dondi, amministratore delegato di Nomisma, uno dei principali istituti di ricerca sugli immobili. «Non intervenire significa semplicemente mantenere in vita le sperequazioni esistenti». In parole povere, a pagare di più, in relazione al valore di mercato del proprio bene, continuano a essere proprio gli abitanti delle aree più svantaggiate nel Paese o alcuni all’interno di ciascuna città o zona. Sono loro che pagano per chi invece, in un Catasto equo, dovrebbe pagare di più per la casa. «Nel rifare da capo gli estimi catastali occorrerebbe certo garantire gli attuali livelli di gettito», continua Dondi. «Ma per far questo bisognerebbe creare un fondo nazionale: ci vuole un meccanismo redistributivo per andare incontro alla necessaria riduzione di gettito in alcuni territori».

Tuttavia va detto che gli italiani considerano gli attuali livelli di tassazione della casa già troppo elevati. Figuriamoci se le rendite catastali dovessero salire. «Ci si può ragionevolmente interrogare sul livello d’imposizione – dice Dondi - ma questa non può essere una scusa per impedire un adeguamento dei valori che è invece nell’interesse di tutti». Morale della favola: prima rimettiamo in ordine la scala dei valori immobiliari italiani, poi vediamo se l’attuale livello o un livello ancora più alto di tassazione siano effettivamente sostenibili, per tutti o per alcune fasce della popolazione, o se invece servono dei correttivi.

Ma molto probabilmente tutto questo resterà ancora una volta nel libro dei sogni. Perché chi tocca la tassazione della casa, in questo Paese, teme di finir male.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.